martedì 2 marzo 2010

IO E I MIEI PENSIERI IN FUGA - ELENIA BUZZONI (32)

C’è una luce in lontananza, si confonde con le altre, piccole e luminose del villaggio.
Scendo la stradina tortuosa fatta di cocci, che si perde e si dirama attraverso le molteplici case, che nella nebbia fitta scompaiono una per una.
Sono davanti ad una luce molto intensa che esce filtrata dalle fessure della grossa e pesante porta di legno e dalle grandi finestre incastonate di vetri screziati, è una locanda.
Entro, si svolge tutto in un attimo, apro la porta e dal silenzio che opprime le strade, rotto solo dal fragore delle onde che si abbattono sulla costa, c’è tutto un altro mondo.
Tavoli di legno scuro rovinati dal tempo e dalle grosse lame conficcate , nuvole di vapore e fumo galleggiano a mezz’aria, come se dovessero riempire completamente tutto il locale, suoni, musiche, risate, grasse risate, uomini seduti ai tavoli, mangiano, bevono, come se non l’avessero mai fatto.
Sono tutti uomini di mare, che in volto hanno segni di una lunga vita di mare, sono pirati.
Molti di loro sono sprovvisti di occhi e denti, vestiti di stracci rovinati dalla salsedine e scoloriti dal sole, bandane che coprono il capo, pantaloni di una lunghezza indefinita, larghe camice strette in vita, da cinturoni di cuoio, che intra lasciano vedere abnormi e orrende cicatrici, che sul corpo sono solo un ricordo.
Si vedono volare anfore piene di buon vino, bicchieri di coccio, che si fracassano nelle pareti, o quando va peggio in viso a chi è venuto per ricercare ristoro e riposo, scatenando risse. Episodi normali in luoghi come questo.
In fondo in un angolo della sala illuminato solo da una fioca lanterna ciondolante, c’è qualcuno di misterioso, lunghi capelli grigi, mossi che si raccolgono in una debole coda, il capo coperto da una bandana scura, gli occhi di un azzurro intenso, fissi, ma allo stesso tempo persi nel vuoto, la barba incolta che segue il debole e pigro movimento della mandibola, che si presta ad incamerare un tozzo di pane e un pezzo di carne secca, una candida e voluminosa camicia di batista bianca che si strige ai polsi, un lungo gilet dai colori gaetti copre in modo parziale i fianchi esili costretti in una grossa cintura di cuoio con borchie da cui pende una grossa scimitarra in essa contenuta, i pantaloni attillati e costretti in lunghi grossi stivali che arrivano sotto l’articolazione del ginocchio, sul tavolo rotondo vi sono poste due grosse borse di cuoio e pelle di squalo dal contenuto misterioso , ove in una di essa fa capolino un talismano verde smeraldo.
Si alza di scatto , evidentemente infastidito dal troppo frastuono che domina la sala, prepotentemente si appropria delle due borse che gelosamente possiede, lentamente si avvicina alle scale, conducono al piano superiore , con la medesima lena sale le scale svanendo nel tetro corridoio , dove affacciate vi sono le vecchie e scardinate porte delle camere da letto.
Accende le fioca e puzzolente lanterna a olio che è poste sul logoro comodino, tira le gialle tende per non far passare la tenera luce della luna, appoggia sulla sedia piena di tarli tutto ciò che possiede compresi i vestiti, soffia violentemente sulla morente fiamma della lampada e s’addormenta.
Sento rumori diversi, gabbiani, verseggiano, volteggiano, avvertono è mattina, una raffica di tonfi si abbattono sulla porta e una voce violenta e grossa grida:
<>


<è mattina!!libera la camera aspetto ospiti assai più graditi di te, muoviti!! O chiamo la guardia reale di sua maestà!>
Non spiccica parola, si alza silenziosamente, si riveste, apre una delle due borse e con stupore e con rabbia si accorge che manca la piccola bisaccia contenente i dobloni d’oro, un fremito di inaudita e cieca rabbia gli fa sfoderare la voluminosa scimitarra, con un poderoso calcio, butta giù la porta , nel lungo e sporco corridoio si sente battere il suo cuore come un grosso tamburo, con i suoi veloci e leggeri passi scende le scale , ad aspettarlo giù, c’era l’oste con un drappello di guardie con le divise variopinte tempestate di numerosi lustrini che brillano come i più preziosi diamanti.
Vedendo la propria inferiorità numerica (1 contro 10) si vede sequestrare scimitarra , borse e addirittura il cappello!
Imprecando contro l’oste , viene portato via di forza dalle guardie, minaccia l’oste, ma esso con sprezzante ardimento gli risponde con una grassa e irritante risata, perde la ragione , con forza si libera dalle guardie , a mani spigate si dirige verso il ristoratore che con vigliaccheria si nasconde, il pirata si guadagna una bel colpo alla nuca che lo tramortì…
Mi riprendo.. sono in cella.. il mal di testa per la botta pulsa, sembra di avere 14 galloni sulla testa che rotolano, mi accorgo che ho un grosso e grasso ratto bianco con gli occhi rossi come l’inferno che mi mordicchia il bavero della casacca, con un violento colpo lo scaravento giù dalla branda o meglio ciò che si può definire branda, una scomodissima tavola di legno piena di schegge e mezza marcia per l’umidità stagnante che sta in modo perenne in questa cella ma da quanto è grosso la botta non sortisce alcun effetto, anzi con fare sognante e dondolante si rintana in un buco che sta nel muro, creatosi da una grossa crepa presente. mi alzo lentamente premendomi la parte dolente, mi avvicino alle sbarre e con tutta la voce che ho in gola urlo al cerbero che sta di guardia di venire dalle mie sbarre.
La guardia con atteggiamento strafottente si avvicina alle sbarre e mi dice: <>
Scatto ci metto un attimo corto per me lungo per lui, ed ecco che si dimena mentre soffoca, la vita lascia i suoi occhi che si spengono lentamente, rubo le chiavi, esco per il corridoio non c’è nessuno, in guardiola mi riprendo tutti i miei effetti personali, scorgo sul muro che su di me cade una cospicua taglia, da ieri….l’oste!!! mi ha denunciato! Maledetto, te la farò pagare molto cara!
Esco di corsa dalla prigione, e fui travolto da una folla delirante che si dirigeva a tutta velocità tra grida urla schiamazzi al porto, mi giro, osservo, il galeone del Governatore ha appena attraccato!! Che sfarzo che splendore, intarsi d’oro vele candide, statue che in prua rappresentavano gli spiriti dominati il mare, che cosa superba!
Ma ho un conto ancora in sospeso.. l oste..
Arrivo alla locanda, faccio molto silenzio mentre mi muovo, faccio capolino dallo stipite della porta, eccolo, lo vedo il maledetto intento a contare i miei denari, sfodero la scimitarra un colpo secco la lama rifletteva e brillava alla luce del sole ora è di un colore rosso vivo, l’oste adesso è con gli occhi sbarrati plumbei e con la bocca spalancata cadeva a terra privo di vita.
Ben ti sta, ecco qual è la ricompensa di chi si macchia d’infamia e tradimento.
Mi riprendo tutti i miei dobloni esco di tutta fretta, e mi dirigo verso il porto, dove la folla ascolta attonite e rapita il lungo editto che l’elogiato diplomato detiene con enfasi e arte oratoria.
Sono invisibile nessuno fa a caso a me, salgo sul galeone sfodero la scimitarra e come un sibilo di serpente vibrato in aria spezzo le grosse corde che tengono il galeone ormeggiato nel porto cadono come corpi morti in acqua producendo tonfi sordi.
Giro a tutta forza il grande e pesante timone, solo come spettatore un vecchio per nulla interessato all’acclamato discorso, guarda la grande nave che con la sua maestosa imponenza prende il largo.

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