giovedì 22 aprile 2010

GENOVESI DI IERI E DI OGGI - STEFANIA RASCHILLA' (52)

Vivo a Genova da circa 16 anni. La città, la sua gente, il paesaggio ti conquistano a poco a poco, senza che tu te ne accorga.
Già il significato più probabile del nome, quello di “porta”, dal latino ianua, evoca l’idea del passaggio e del cambiamento (inteso sia in senso concreto che metaforico) e quindi il dio latino Giano, bifronte, volto nello stesso tempo verso il passato e verso il futuro, mitico fondatore della città. Se ne trovano infatti raffigurazioni in vari luoghi, in particolare nell’architrave destra della navata centrale della Cattedrale di San Lorenzo, sopra un’antica iscrizione che ricorda la fondazione di Genova da parte di Giano, re degli aborigeni, e in cima alla corona dello scudo civico; al suo nome è anche intitolato un molo situato a poca distanza dal Porto Antico.
In realtà la città (il primo insediamento urbano viene fatto risalire al VI sec. a.C.) fu fondata da una tribù, i Genuati, appartenente alla stirpe dei Liguri, popolo probabilmente proveniente dalla regione del Rodano (anche se le loro origini non sono certe e, secondo Catone, erano talmente ignoranti da non conoscere nemmeno il luogo da cui provenivano) e stanziatisi in Spagna, Francia e Italia Settentrionale. Ad essi si unirono elementi di altri popoli, prevalentemente etruschi, che trasformarono l’approdo naturale offerto dal luogo in un insediamento stabile, come testimonierebbero i ricchi corredi di bronzi e crateri etruschi rinvenuti tra il 1898 e il 1910 nella necropoli preromana situata nei dintorni di Via XX Settembre.
Per secoli, anzi, per millenni, i genovesi hanno convissuto con il mare e la sua presenza è diventata parte di loro, della loro vita, dell’arte e delle canzoni; per secoli e millenni il mare li ha nutriti, lo hanno navigato con coraggio stabilendo contatti e scambi commerciali e culturali con i popoli del mondo allora conosciuto. Ma sono sempre stati anche ben consci dei pericoli di una forza che l’uomo non riuscirà mai a dominare del tutto, tanto è vero che nel dialetto la stessa parola, “mâ”, esprime sia l’idea di “mare” che quella di “male”. Il legame dei genovesi – e dei liguri - con i loro monti, che si trovano a ridosso della lingua di terra pianeggiante bagnata dal mare, lungo la quale si sviluppa la città, è invece molto più antico e forte di quello con il mare, dato che – a quanto sembra - questi popoli scesero dalle montagne quando le acque marine si ritirarono completamente, in cerca di condizioni di clima e di vita migliori. Ma anche dopo che si avvicinarono alla costa, continuarono a stabilirsi sulle alture, anche se modeste, (nei cosiddetti “castellari”), dalle quali potevano controllare il mare e le vallate circostanti (il primo centro abitato di Genova pare fosse nell’attuale quartiere di Carignano), e a recarsi in pellegrinaggio sul Monte Bego (al confine con la Francia, alto 2873 metri), i cui circa quarantamila graffiti rupestri testimoniano una primitiva forma di religiosità. Essi ritraggono scene campestri, il lavoro della terra e gli animali necessari per il suo svolgimento e per il nutrimento (ovini e bovini); mai niente però che abbia a che fare con il mare.
L’indole di questa gente non è, quindi, quella tipica dei popoli che si affacciano sul mare; al contrario. Credo che nei genovesi di oggi sia possibile ritrovare molte caratteristiche già presenti nelle descrizioni che dei loro progenitori forniscono i contemporanei (anche se non va mai dimenticato il fatto che i vincitori, in questo caso i Romani, esasperavano i caratteri negativi dei nemici, soprattutto di quelli più agguerriti e difficili da sottomettere, e i Liguri erano tra questi; Livio scrive nelle Storie che essi usavano metodi simili alla guerriglia, vivendo nascosti e comparendo solo per tendere agguati, al punto che i Romani, per debellarli, deportarono in massa i Liguri Apuani nel Sannio. I genovesi costituirono un’eccezione, in quanto furono fedeli alleati dei Romani, cosa che durante la seconda guerra punica costò loro la distruzione della città - in seguito ricostruita con l’aiuto di Roma - ad opera di Magone, fratello di Annibale. Ancora oggi si usa l’espressione “avere il magone” per indicare sentimenti di paura, ansia, sofferenza). Lo storico Diodoro Siculo descrive questa gente – senza distinzione tra uomini e donne - come dotata di orgoglio e coraggio, irrobustita dal duro lavoro della terra, essenziale nei modi e nei costumi.
Inoltre i Liguri erano divisi in “clan”, separati (anche a causa della natura del suolo, che rendeva difficoltosi i contatti) e spesso in lite gli uni contro gli altri, salvo ad unirsi per far fronte contro un nemico comune; rispettosi degli altri e della loro libertà, insofferenti delle costrizioni e delle dominazioni esterne.
E i genovesi di oggi? Rivolti verso il mare, il nuovo, il futuro, ma nello stesso tempo saldamente ancorati alla terra, alle origini, alla tradizione. Contemplativi e concreti. Privi di fronzoli, tanto da dare l’impressione di essere rudi, o da essere tacciati di avarizia. Parchi di parole, non di sentimenti - anche se occorre parecchio tempo prima che “si concedano” - ; questi vanno però colti “tra le righe”, spesso non vengono manifestati per una specie di pudore, di naturale ritrosia. Prudenti, discreti, qualche volta fino all’eccesso. Individualisti, spiriti liberi. Legati al clan (leggi “famiglia”) e alla loro terra, gelosi dei loro affetti, rispettosi dei loro simili – sia uomini che donne (annotazione personale: mio marito è ligure. Una delle cose che mi colpì favorevolmente durante il fidanzamento è il senso profondo di rispetto e di pari considerazione nei confronti di noi donne in genere che ho colto sin dalle prime volte che venivo a trovarlo a Genova). Non troppo ottimisti (sempre mio marito, che una volta invitai a vedere il bicchiere “mezzo pieno”, mi rispose serio che lui non vedeva neanche il bicchiere), piuttosto inclini al “mugugno” (che, dicono loro stessi, “non costa niente”), una specie di cantilena lamentosa, a volte accompagnata da gesti e da un’eloquente mimica facciale. Ciò non significa però che siano privi di un loro particolare senso dell’umorismo, che paragonerei a quello degli scozzesi.
Sono molto diversi dai primi abitanti di queste terre?
A proposito poi della loro vena artistica (molti poeti e cantautori sono liguri o genovesi), sappiamo che già anticamente questo popolo era dotato di sensibilità, creatività e senso artistico, anche se espresso in forma primitiva (nel Fedro di Platone Socrate li definisce “stirpe armoniosa” e si diceva che durante le battaglie destinassero una parte dell’esercito al canto); nella necropoli ad incinerazione di Chiavari, risalente all’VIII – VII secolo a.C., sono state scoperte, tra il 1959 ed il 1970, oltre centoventi tombe contenenti monili e diversi oggetti in ferro, oro e bronzo.
Io credo che questa gente, da sempre stretta tra i monti e il mare ed abituata per antica cultura – come tutti o quasi i popoli settentrionali – a contenersi, a non mostrare le emozioni, ne abbia convogliato l’espressione nell’arte.
Genova, la sua gente, il suo paesaggio mi sono entrati dentro a poco a poco, senza che me ne accorgessi. Ho imparato giorno dopo giorno a voler loro bene; ma è certo che non glielo dirò mai.
Forse anche nelle mie vene scorre qualche goccia di sangue ligure?

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