giovedì 22 aprile 2010

NOVEMBRE - MARILENA GRATTACASO (24)

I pomeriggi novembrini sono così brevi. Erano solo le cinque, ma le calde tinte cremisi del tramonto già cedevano il posto agli eleganti indaco e blu della tarda sera. I colori sfumavano da una gradazione all’altra come se la mano invisibile di un pittore le stesse mescolando sapientemente, con movimenti leggeri ma decisi del pennello.
L’immagine di un’enorme mano che dominava il cielo era così vivida che Serena pensava quasi fosse reale; per questo sobbalzò leggermente, quando vide un’ombra nera volteggiare alta nelle nuvole. Ma le bastarono pochi secondi per capire che si trattava di un grande stormo di uccelli. Si preparavano alla migrazione, e nel richiamare quanti più membri possibili, volteggiavano sui tetti dei palazzi, compiendo larghe piroette, tutti insieme, come se stessero seguendo una coreografia precisa. Nessuno sbagliava un passo, e nel proseguire quella danza maestosa, la nuvola nera formata da tutti quegli uccelli insieme assumeva le forma più strane. Ecco perché a Serena era sembrato di vedere materializzata la sua fantasia alta nel cielo: il leggero ondulare degli uccelli per un attimo aveva emulato le movenze e la forma di una gigantesca mano.
Sorrise tra sé e sé, e distolto lo sguardo dalla finestra, continuò a salire le scale.
Caspita, quanto pesava quello scatolone! Ma che ci aveva messo dentro?
Guardò in alto con aria sgomenta, e calcolò due piani ancora. Si chiese come cavolo le era venuto in mente di affittare un appartamento situato al quinto piano di un palazzo senza ascensore, e si diede subito la risposta:
ottima collocazione (vicinissimo alla stazione della metro, al centro della città, a sole tre fermate d’autobus dall’ufficio);
ottimo prezzo (poteva ritenersi fortunata a pagare soli 700 € per un monolocale, tenuto conto delle caratteristiche di cui sopra).
Poi, quando finalmente arrivò al tanto agognato quinto piano ed ebbe infilato la chiave nella serratura del portone, le venne in mente la terza ragione.
Quell’appartamentino era magnifico.
Aperto il portone, si ritrovò in un piccolo atrio, con un mobile basso sormontato da un lungo specchio, proprio davanti a sé. A sinistra, ecco la cucina. Non molto ampia, ma ben organizzata, con il piano cottura, lavello sotto la finestrella rettangolare che affacciava in strada, penisola e portafinestra sulla verandina.
Serena posò lo scatolone su uno degli sgabelli davanti al tavolino da bar, e andò in bagno a sciacquarsi il viso. La parete sormontata da una fila di simpatici specchi ondulati le restituì uno sguardo sfinito. Sì, aveva proprio una pessima cera. Avvicinatosi alla parete per guardarsi meglio, le venne in mente che la sua amica Veronica aveva comprato degli specchi identici, che si erano scollati frantumandosi sul pavimento dopo pochi mesi. Un brividino percorse la schiena di Serena, che si ripromise di chiamare qualcuno (ma chi? Un idraulico? Un piastrellista?) e farli controllare al più presto.
L’allegro scampanellare di un campanello da bicicletta l’avvertì dì aver ricevuto un messaggio. Andò in camera, annotando mentalmente di cambiare suoneria, e lesse il messaggio di sua madre, che le chiedeva come andava il trasloco e si raccomandava di chiamarla presto. Serena sorrise, ma decise di richiamare dopo la doccia, e si guardò attorno, in quella giungla di scatoloni, cercando di ricordare i quale avesse ficcato l’accappatoio e l’occorrente per il bagno. Cercò tra i mobili impolverati, spostando gli oggetti più piccoli sulle mensole della libreria e sulla cassettiera, ingombrò ancora di più la grande scrivania dal ripiano in vetro, inciampò nel tappeto, controllò nella piccola cabina armadio e trovò i cavi del computer nello scatolo delle stoviglie, ma niente accappatoio. Pensò allora che potesse essere in uno di quelli che aveva messo di sopra, e salì la scaletta che portava al soppalco, occupato quasi interamente da un bel letto matrimoniale, comodini a entrambe i lati e una cassettiera lunga e bassa. Era stato soprattutto quello a farle decidere di prendere l’appartamento. Nel giro di pochi secondi si era vista svegliarsi al mattino in quel soffice lettone, scendere pigramente le scale e andare a prepararsi il caffè, che avrebbe sorseggiato mentre guardava le notizie al tg, appoggiata alla penisola.
Sorrise ancora beata al pensiero, poi si buttò sull’unica parte del letto non ingombra di oggetti, e intravide un lembo dell’accappatoio nello scatolone ai piedi della cassettiera.
Guardò di nuovo fuori dalla finestra. Ormai era buio pesto. Non riusciva più a vedere l’enorme mano nera volteggiare nel cielo. Magari l’avrebbe vista l’indomani, stagliata contro l’azzurro tenue sfumato nel rosa dell’alba.

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