domenica 11 aprile 2010

RITROVARSI - NITTO VALERIA (27)

Capita, delle volte, di permettere alle vicissitudini della vita di abbatterci, rischiando di perdere qualcosa di prezioso . Lentamente, con il trascorrere dei giorni, il nostro desiderio di ottenerla si affievolisce. Il dolore è la fonte di tale trascuratezza. Il lungo e interminabile calvario che affonda il coltello nella sanguinosa piaga, distruggendo la speranza. Rimane solamente accettare la sconfitta dopo aver lottato con le proprie forze illudendosi che potesse cambiare il regredire della situazione, e accorgendosi che tutto è riconducibile a una mera illusione.
Ho rinunciato pertanto a essa, poiché ritenuta troppo fuori dalla mia portata. Se, Chi sta lassù ha permesso tale sofferenza, allora, nessuna potenza umana, né altro potrà mai cambiare la realtà. Una volta effettuato voto di rinuncia, ho promesso a me stessa che non un'altra lacrima sarebbe stata versata, neanche in punto di morte.
“sai per caso dirmi che ore sono?”
“no” erano mesi che non cambiavo la batteria nell’orologio, l’unico ricordo che mi era rimasto, e non avevo neppure intenzione di farlo toccare a nessuno
“è un bel problema. Temo che l’autobus stia tardando”
Continuai a leggere il libro ignorando quella voce fastidiosa, pareva volesse intraprendere una conversazione forzata. Dopo qualche minuto, tornò per nulla demoralizzata
“è interessante?”
“silenzio, non vede che sto leggendo?”
Che persona irritante e maleducata! Perché non coinvolgeva qualcun altro con le sue inutili chiacchiere? Per fortuna l’autobus arrivò di lì a poco, interrompendo quell’insostenibile situazione, immersa nella lettura, riuscii a terminare il capitolo prima di scendere.
“sei in ritardo” lamentò il Sig. Riccardo, sbuffando più di quanto non era abituato a fare
“è colpa del …”
“che importanza vuoi che abbia? La situazione non cambia” disse lanciando il grembiule
“quando finisci di sistemare i tavoli, ricorda di pulire il bagno”
“l’ho già fatto ieri sera ….”
“ti stai forse lamentando?” ribattè con il sopracciglio destro sollevato
“no, di certo”
Quel Martedì era abbastanza soleggiato per una giornata di metà Febbraio, ma, in Sicilia, si era abituati a certe stranezze stagionali.
“Lidia, tieni! Un caffè macchiato al tavolo due” poggiò la tazzina sul vassoio in alluminio così di malumore da riuscire a versarne una goccia. In silenzio, lo afferrai e andai per servirlo
“è piuttosto irritante, non credi?”
“abbastanza direi” risposi senza pensare, ebbi l’impressione di aver già udito quella voce. Era familiare, e ben presto ricordai di chi si trattava. Alzai gradualmente lo sguardo, fino a incrociare il suo. Occhi di un blu intenso, come la profondità del mare. Un brivido mi percosse e svelta tornai al bancone. Non mi ero resa conto che la persona definita da me irritante quella mattina alla fermata del bus fosse un ragazzo di codesta bellezza. Ma non si trattava solamente del suo aspetto, c’era qualcosa in più che, distratta, non avevo notato prima. Tornai quanto prima al tavolo, ma, era svanito. Via, come ogni cosa bella nella mia vita. Due euro e quella sedia di ferro battuto, vuota.
“sta facendo notte” borbottò il Sig. Riccardo
“peccato” dissi tra me e me “avrei voluto sapere chi sei” incassato il pagamento feci quanto mi era stato ordinato.
Quella sera, tra le lenzuola, fissai il tetto ripensando al misterioso incontro, l’unico piacevole avvenimento in quella giornata così snervante.
L’indomani qualcosa mi spingeva a mettere i piedi giù dal letto, a lavarmi con maggiore dedizione e ad anticipare di ben dieci minuti la solita routine. Quel qualcosa che mi aveva messo un non so che di trepidazione, era svanito accorgendomi che era stato frutto della mia fantasia, quel misterioso ragazzo non era presente.
Sorridendo per aver permesso a me di cascare in simile tranello, presi posto silenziosamente sul bus.
“oggi c’è più freddo, che tempo balordo”
Voltandomi di scatto, non riuscii a contenere l’immenso stupore
“mi chiamo …”
“Lidia, conosco il tuo nome”
“avrei preferito presentarmi piuttosto che essere anticipata da quello scorbutico del mio capo. Dovrei cambiare lavoro”
“però non ci riesci, non è così?”
“è solo che …”
“hai perso il tuo punto di riferimento e ti sei arresa”
“un commento avventato su una persona appena conosciuta”
“ritrovata” corresse “Lidia, puoi ancora sperare”
“ma chi sei?”
“tu chi credi che io sia?”
Rimasi pensierosa per qualche istante prima di congedarmi a malincuore. Dovevo presentarmi al Bar o non avrei avuto un posto di lavoro per il giorno successivo. Ci salutammo cordialmente, neppure quando il Sig. Riccardo bestemmiò come un forsennato, riuscì a rubare quella strana sensazione che s’insinuava dentro di me, una sensazione che avevo, in passato, conosciuto.
Tornata a fissare il tetto quella sera, ripensai alle parole del giovane premuroso, del quale non sapevo neanche il nome. Aveva lasciato intendere che mi conoscesse, ma non poteva sapere cosa ero stata costretta a subire. Dopo la morte di mamma, la persona a me più cara, ciò che reputavo famiglia si sgretolò così rapidamente da non riuscire ad attutire il colpo. Mio padre, distrutto, dimenticando di avere una figlia ancora in tenera età, aveva trovato dedizione nel gioco delle scommesse. Specialmente le carte, divennero la principale ossessione, riducendolo, con il trascorrere degli anni sul lastrico. Abitavamo in un bilocale in Via Catania, e con il mio lavoro riuscivo a pagare l’affitto ogni mese e a fare la spesa. Amavo mia madre, più di qualsiasi cosa, ci aveva tragicamente abbandonato, trascinando con sé la mia felicità. Nonostante avessi provato a cercarla nuovamente, ero arrivata al punto di abbandonare quell’utopia, rinunciando per sempre. Probabilmente, non tutti possiamo avere un simile dono. E adesso, che ero sicura di non dover affrontare più quel dolore, un gentile ragazzo, mi stava dicendo che non era ancora finita?
Un rumore mi fece sobbalzare, andai verso la porta d’ingresso, dove Enzo se ne stava in uno stato pietoso, allungando la mano verso me
“sto male, Lidia, aiutami”
Senza batter ciglio risposi “arrangiati da solo”
“sei crudele, Lidia, non hai pietà per questo pezzente?”
Avvolta tra le coperte, misi la testa sotto il cuscino, non volevo ascoltare né tantomeno preoccuparmi per quello sconosciuto.
L’indomani lo ritrovai sul divano, pronta per ricominciare un’altra giornata, chiusi la porta dietro di me.
“buon giorno Lidia” l’unica persona che avrei voluto vedere, attendeva sulla panchina dinanzi al palazzo.
“è un sorriso quello?” disse afferrando dolcemente la mia mano. Senza riuscire a trovare le parole esatte rimasi in silenzio con il cuore in tumulto
“andiamo insieme alla fermata, ti va?”
Ero emozionata, a tal punto da temere di piangere. Da quando non avvertivo le calde lacrime scendere lungo le guancie?
“da troppo tempo” rispose sorridendo. Riusciva a trasmettere un profondo senso di benessere “chi sei?”
Sollevando il palmo della mano, la baciò, mi persi nel blu dei suoi occhi, avrei voluto che mi cullassero, riacquistando una pace che la mia anima aveva dimenticato
“Il sussurro della mia voce non ti lascerà mai, sono e resterò al tuo fianco, anche se non potrai vedermi. Non dovrai far altro che chiudere gli occhi e ascoltare”
Domande su chi fosse, e perché stava trascorrendo del tempo con me, passarono in secondo piano. Ero solamente consapevole del timore di simili affermazioni
“non posso farcela da sola! Ho bisogno di te!”
Accarezzò il viso, in un movimento lento e rassicurante, baciò la fronte “torna a credere Lidia, torna a credere che io possa esistere. Abbatti quel muro che ci divide e torna a sperare. Credi in Dio, e nella bontà delle persone. Nell’esistenza dell’amore in tutto ciò che ti circonda. Nel perdono e nei buoni sentimenti. Non permettere all’oscurità di impossessarsi di te, purifica il tuo essere e non perdere di vista il tuo obiettivo. La conquista della felicità dipende solo ed esclusivamente da te”
“ho paura” dissi singhiozzante “mi provoca troppo dolore”
Strinse le mie mani “lo so, soffoca e intimidisce, ma, devi essere più forte per contrastarlo. Io sarò con te in qualsiasi istante della tua vita, credi in ciò che dico?”
“si” risposi senza esitazione “io ti credo”
“ogni promessa è un voto”
“d’ora in avanti affronterò quello che la vita sbarrerà dinanzi al mio cammino. Adesso, sento di poterlo fare”
L’arrivo del bus ci interruppe. Asciugò le lacrime con un fazzoletto bianco che mi lasciò
“va Lidia, e dona a questo mondo ciò che hai nel cuore”
Salendo quei gradini, lasciai la sua mano, certa che quella, era l’ultima volta che lo avrei visto. Lui, continuava a sorridere, rallegrandomi. Sospirando profondamente, mi sedetti. Esaminai il fazzoletto notando la croce in miniatura, ricamata in un angolo.
Arrivata a lavoro, fui investita dal Sig. Riccardo che ordinava a destra e a manca
“no” dissi con fermezza
“come?”
“mi licenzio” gettai il grembiule
“non puoi” era costernato ed anche sorpreso
“oh sì, che posso”
Corsi il più velocemente possibile, il vento che frusciava tra i miei capelli mi faceva sentire libera. Libera senza alcuna imposizione, libera di afferrare la mia esistenza e trasformarla in qualcosa di emozionante, di qualcosa di vivo.
“Lidia?”
“papà” lo abbracciai come da tanto non facevo
“mi dispiace, bambina, perdona questo inutile vecchio”
“andrà tutto bene. Fidati di me”.
Quando capita, delle volte, che le vicissitudini della vita tentino di abbattermi, a me basta chiudere gli occhi e ascoltare quel dolce suono, ricordando che non sono sola.

1 commento:

  1. complimenti è davvero un bel racconto...Lidia mi è piacita molto per il coraggio che ha dimostrato nell'ammettere che avvolte bisogna rendersi conto di quanto sia sbaliata la prospettiva che abbiamo del mondo..

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