mercoledì 12 maggio 2010

IL DIFENSORE - ALEXIA BIANCHINI (36)

Appoggiata a terra, con l’orecchio teso a sentire.
Sentire cosa poi, io non saprei dire, io ricordo solo frammenti.
Stralci di memoria riaffiorano sempre più spesso, mentre dovrei rimanere tranquilla, concentrata sul mio lavoro, sulla mia famiglia.
Mischio, confondo, sussulto. Cosa c’è dall’altra parte?
Io ricordo due occhi verdi, come quelli di un felino, oscuri e maligni, non umani.
Ricordo l’odore acre del sangue e grida, urla, così forti da terrorizzare ancora i miei sogni.
Ma cosa ci sia aldilà di quella porta, ancora non lo so. E forse sarebbe un bene non scoprirlo affatto.
Ma la curiosità è donna e io non riesco più a resistere a questa tentazione.
Ero solo una bambina quando mi sono ritrovata in questo mondo, catapultata da un altro spazio, un altro tempo. Ricordo quelle braccia forti, nerbute, che mi gettarono al di qua di questo varco.
Sola, spaurita, iniziai a piangere e non sentivo più gli odori della mia terra, il torpore di quei due soli grandi che riempivano il cielo di luce.
Mi trovarono dopo due lunghi giorni, addormentata dagli stenti, stremata dai pianti.
Mi assomigliavano quegli esseri indigeni, solo l’odore era acre e pungente. Io sentivo il loro sudore, ascoltavo la loro salivazione e il pulsare incessante nel loro petto, ma non capivo le loro parole.
Non ci fu nessuna risposta da parte mia. Zitta, intimorita, li seguii fuori da quello scantinato abbandonato e quando vidi come era fatto questo mondo rimasi pietrificata.
Era così diverso, così tetro. Rumori metallici, rimbombanti ed un continuo vociare che disturbarono i miei acuti sensi. C’era vita, centinaia di corpi, ma la vegetazione era quasi nulla, schiacciata da enormi edifici.
Solo un dolce canto mi destò da quell’incubo atroce: c’erano animali leggeri, che danzavano nel cielo, che mi ricordarono i Modian, i guardiani del tempio vicino a casa mia, creature intelligenti e aggraziate con cui era facile parlare dei propri problemi, dei propri dolori.
Ma a forza fui caricata in quella scatola strana, che in un lampo fece un gran frastuono, un rumore torvo, feroce e che una persona obbligò al movimento. Un auto, niente di ché per chi è nato in questo mondo, ma un mostro freddo e sconosciuto per me, che venivo da lontano.
Sono vissuta in un orfanotrofio, ho imparato le regole della vostra vita, la vostra lingua e anche se il male regna sovrano su questa terra, ho imparato ad amarvi.
Mi avete dato un nome, Solidea, e per questo vi ringrazio.
Apprezzo il cibo, la musica, la vostra immensa fantasia e mi sono ambientata, ho fatto amicizia, ho trovato un lavoro e mi sono innamorata, ma mi sono dimenticata di chi ero un tempo. La mia memoria si è offuscata, dimenticando i nomi dei luoghi, delle persone, scordando il motivo per il quale sono stata cacciata, ricordando solo quei meravigliosi volatili con cui parlavo da bambina.
Siamo uguali fisicamente, l’ho scoperto diventando mamma. Avevo il terrore dei vostri acuti esami, ma mi sbagliavo, nulla è apparso strano, diverso.
Poi tutto è cambiato. Mia figlia Arianna mi ha ridestato dal sogno, quando sei mesi or sono mi ha ingenuamente chiesto dove sono nata, come si chiamava sua nonna, suo nonno.
Come un lampo accecante, la mia mente si aperta all’istante. Ho ricordato questa maledetta porta, in questo schifoso luogo abbandonato e non sono più riuscita a vivere, qui con voi, come umana.
Vengo in questo luogo ogni giorno, e ascolto. Sento rumori strani, lontani attraverso il metallo, ma non ho il coraggio di aprire, so che qualcosa nella mia mente me lo impedisce.
Ho visto troppi film dell’orrore alla televisione, troppa fantascienza spaventosa, dove mostri dilagavano, stritolando le ossa di voi umani, lasciando solo tracce di sangue sulla terra.
Ho paura, io non ricordo.
Forse sono stata semplicemente cacciata, ma se siamo così simili nel corpo forse ci assomigliamo anche nel pensiero, e chi mai di voi caccerebbe una bambina dalla sua casa?
Quante domande, quanti dubbi nella mia testa. Ora che ho una famiglia mi sento responsabile di questa terra, ma l’odore che sento attraverso questa porta è un richiamo ai miei assopiti sensi e non riesco a starne lontano.
Mi appoggio, ascolto. Un grido atroce passa attraverso, arrivando al mio orecchio. E l’istinto prevale e non mi controllo.
Apro.
La vegetazione incombe sovrana, l’urlo riecheggia di nuovo. Non c’è tempo di pensare, non ci riesco. Attraverso il portale e chiudo, ormai sono qui, dall’altra parte.
Foglie immense mi sovrastano e nulla vedo se non il verde cangiante.
Seguo le grida, incedendo a fatica fra la vegetazione, vestita da cameriera con la divisa del bar dove lavoro da anni.
Rami, foglie, tagliuzzano le mie gambe nude, ma nulla sento se non il mio respiro che incalza, le vene che sembrano recuperare linfa vitale ed un energia mi assale, folgorando il mio corpo di scariche elettriche, facendomi sentire indistruttibile.
Scatto fulminea senza paura, assalendo una bestia immensa, da lunghe zanne. La sollevo senza sforzo lanciandola lontano.
Mi fermo, mentre il mio cuore decelera. Una figura giovane, piccolina, mi guarda impaurita. Allungo le mani, che avevo intravisto mutare poco prima e osservo la mia trasformazione.
Sono un gigante, riconosco nelle mie braccia così muscolose, le stesse che mi lanciarono al di là del portale. Poi tutto cambia, sembro rimpicciolire, tornare normale.
“ Chi sei?” chiedo a quella ragazza, che un istante prima avevo scambiato per una bambina.
Lei non risponde, ma si avvicina, prendendomi la mano, dolcemente, iniziando a camminare verso l’ignoto, attraverso il verde.
La osservo, è diversa da me. Ha una coda sinuosa che si muove ritmicamente, i capelli raccolti sotto un velo sembrano viola e gli occhi grandi più del normale non hanno ciglia.
Sento un battito d’ali, e la creatura di fianco a me esulta, con un urlo strano, ritmato, poi mi sorride.
La foresta termina d’incanto, mostrando un mondo verde di colline infinite. I due soli mi riscaldarono, tranquillizzando le mie paure.
È il mio mondo quello che vedo, ma ancora non conosco nulla del mio passato, per questo seguo la mia guida, che ogni tanto mi sorride, senza proferir parola.
Un sentiero ci porta ad un tempio antico, dove un grande volatile attende alla porta.
Mi osserva, e scorgo in lui un amico lontano.
“ Shivar “ dico, ricordando il suo nome, e lui spalanca le ali azzurre aspettando un mio abbraccio.
Ricordo il suo profumo, che ora assaporo ingorda, la morbidezza delle sue piume che mi piaceva accarezzare da bambina.
“Deana, sei tornata” mi dice con una lingua che ora rammento.
“Sono confusa, io non ricordo nemmeno chi sono, non rammentavo nemmeno il mio nome” gli dico perdendomi nei suoi occhi.
“Tu sei un Difensore, come tuo padre. Il tuo destino è legato alla tua terra, al mondo in cui sei cresciuta. La tua esistenza è legata ad una lunga attesa, nella speranza di non vedere mai i Gonax giungere dal cielo” dice Shivar, accarezzandomi i capelli.
“ La mia terra, questa? E chi sono i Gonax?” chiedo disorientata.
“La tua terra è il mondo in cui adesso vivi, celando nella tua vera natura una forza dirompente, necessaria nel caso in cui i Gonax, esseri immondi e spietati, raggiungano il tuo mondo attraverso lo spazio. Solo tu puoi fermarli, solo tu puoi difendere la tua gente” mi spiega Shivar.
“La mia gente…” dico, pensando ai terrestri.
Shivar racconta, di come questo pianeta verde sia un luogo vergine, incontaminato, dove i Difensori nascono, per poi essere inviati sugli infiniti pianeti del cosmo.
“E la ragazza?” chiedo.
“Sono indigeni del posto, che aiutano le gestanti a partorire” dice Shivar.
Mi guardo intorno, respirando a pieni polmoni. Quel dolce profumo lo assaporo ancora, non voglio dimenticare nulla di quel posto.
“Ora vado” dico seria.
“Lo so, è il tuo destino” dice Shivar stringendomi più forte.
“Sai, io ricordo due terribili occhi verdi” dico prima di andare.
“Sono i Gonax amica mia. Li hai visti trucidare tua madre. Vi eravate trasferiti da poco, ma l’attacco è stato fulmineo. Tuo padre è tornato qui, a Reesaar, con te fra le braccia e senza indugio ti ha mandata verso il tuo destino,senza avere il tempo di prepararti, per poi tornare al suo mondo per uccidere i Gonax” dice Shivar.
“Reesaaar” dico guardando i due soli.
“Torna quando vuoi amica mia” mi dice Shivar, mentre la ragazza si avvicina e mi prende per mano, per riportarmi nella foresta.
Chiudo la porta, ma questa volta non piango disperata.
Ora conosco la verità, non ho più paura.
Io, cameriera di un piccolo bar sono il Difensore di questo mondo.
Io vivo tra voi, amo mio marito e accudisco mia figlia, ora mi sento una terrestre, ma osservo il cielo, ogni giorno della mia vita, sperando che i Gonax non ci trovino mai.

1 commento:

  1. Ben scritto. Il linguaggio scelto è semplice e scorrevole e l'idea potrebbe essere anche buona se non fosse che nella narrativa e nel fumetto di "genere" è stata usata e usata e usata ancora vedi ad esempio i "baluardi" (difensori anch'essi non terrestri della terra) bonellidi di Gea.

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