mercoledì 12 maggio 2010

L'INCONTRO - DOMENICA FIORELLA RIGONI (41)

Il vecchio è seduto sulla panchina. Guarda il sole che sta tramontando. Sospira e batte il bastone per terra. Il cane alza un orecchio, apre un occhio e lo guarda, poi lo richiude, il vecchio non si è alzato.
Come ogni giorno sta lì sulla panchina. Davanti a quella tomba, e ricorda, come ogni giorno. Annuisce e parla da solo, anzi parla con lei. Quella sepolta lì sotto. Iris. Sua moglie.
Anche oggi le sta ricordando il loro primo incontro. Quello più vivo nella sua memoria ormai stanca.
“Ti ricordi Iris? Te l’ho raccontato tante volte di come ti spiavo. Mi sei sempre piaciuta Iris, sempre.“ Scuote la testa e pensa il vecchio, a com’era bella la sua Iris.
Gli sembra ancora di vederla indaffarata. Nel prato mentre sta stendendo il bucato. E chiude gli occhi e lascia che i ricordi arrivino, nitidi e belli. Belli com’era lei. Ci sprofonda dentro. Li rivive.
La vede sbuffare mentre solleva quella pesante coperta. Così bagnata deve pesare un quintale.
Indossa un vestito a fiori. Non ha molte pretese. Di questo lui ne è sicuro.
Eppure è così bella. I lunghi capelli castani legati dietro. La bocca piena e quegli occhi grandi, da cerbiatta. Vorrebbe conoscerla. Vorrebbe parlarle. Ma invece sospira continuando a guardarla.
Cammina a piedi nudi, nell’erba. Sotto quel sole cocente. Non sta mai ferma, mai.
Il rumore lo fa sobbalzare. Qualcuno ha bussato alla porta. Meglio andare a vedere.
“Ehi! Mi daresti una mano?” Sua madre che entra con le borse della spesa.
Esce con lei, l’aiuta a portarne altre dentro. “Cavoli quanti soldi ho speso!” Brontola mettendo il formaggio nel frigo. “Costa tutto così caro!”
“Ma dai! Ti lamenti sempre per nulla mamma.” Le dice con un sorriso.
Gli passa le bottiglie di passata. Sbuffa e scuote la testa.
“Ragazzi! Vedrai quando toccherà a te! Vedremo allora se dirai che mi lamento sempre per nulla.”
Esce di nuovo e porta l’auto in garage.
Torna in camera sua. Torna a guardare, ma lei non c’è più. Il prato è vuoto. Adesso è lui che sbuffa. “Meglio tornare ai miei compiti“ pensa. Domani avrà l’interrogazione in storia e se non studia prenderà sicuramente un brutto voto.
Il pomeriggio lo passa curvo sul libro. Ogni tanto sente la madre, di là. E ogni tanto sbircia fuori, ma di lei non c’è più nessuna traccia.
Scuote la testa. Sdraiato sul letto si dà dello scemo. Non capisce perché continua a spiarla. E a fantasticarci sopra. Chiude gli occhi e la rivede. Fa un sorriso, gli piace immaginare quello che potrebbe farle.
“E’ pronta la cena!” Grida sua madre dalla cucina.
Riapre gli occhi ed è ancora lì. Nella sua stanza che pensa a lei. A quella lei di cui non conosce nemmeno il nome. Di cui non sa nulla.
La televisione è accesa e sua madre è già a tavola. Mangiano in silenzio. Ognuno chiuso nei propri pensieri. Come ogni giorno. Da quando suo padre se n’è andato le cose stanno così. Hanno dovuto cambiare casa. In questa si sono trasferiti da poco più di un mese. Sua madre lavora come una matta per racimolare i soldi per vivere. Anche lui si dà da fare. Fa dei piccoli lavoretti in giro, nel pomeriggio dopo scuola, così si arrangiano.
Lei invece l’ha vista subito. Già quel primo giorno, appena arrivati. Stava togliendo i vestiti dalla valigia e lei era lì, in giardino. Cantava allegramente, anche quel giorno stava stendendo dei vestiti.
Non ha ancora trovato il coraggio di presentarsi. E’ un imbranato in fatto di ragazze.
Si alza e sparecchia la tavola. Sua madre sembra stanca. Lo guarda e fa un sorriso.
“Esco, devo andare a portare il cane dei Fantini a passeggio.” La saluta con un bacio ed esce.
Fuori è ancora caldo, nonostante siano le otto di sera. Attraversa la strada e s’incammina lungo la via. Alcuni bambini corrono sul marciapiede con la bicicletta. Li lascia passare e suona il campanello. La voce nel citofono è sempre quella del signor Fantini. Gli aprono.
“Oh, Lucio finalmente!” La signora Fantini che esce con il cane al guinzaglio. “Rufus ti stava aspettando.” Gli lascia il guinzaglio e lui lo afferra saldamente.
“Ci vediamo dopo.” Le dice uscendo dal cancello.
Rufus è un bell’esemplare di boxer. E adesso è tutto impegnato ad annusare per terra. “Ok Rufus, andiamo Va.” Dice tirandolo verso di lui.
Il cane strattona, tira e poi si ferma. Rapito da un odore nuovo. Annusa e immancabilmente lascia la sua firma. Perché questo è il suo territorio e vuole rimarcarlo per bene.
Sorride guardandolo. Gli sono sempre piaciuti i cani. Rufus poi è davvero bello.
Fanno il loro solito giro, come tutte le sere. Vanno al parco e qui si fermano. Piccolo riposino sulla panchina. Rufus si accoccola ai suoi piedi obbediente. Quella sera ci sono un sacco di bambini al parco. Si guarda in giro non conosce ancora nessuno in quel posto.
“Ehi! Ciao!” La voce è vicina. “Bello il tuo cane!” Commenta facendogli una carezza.
Si gira di scatto. Lei è lì, inginocchiata che accarezza Rufus.
La guarda meglio. Ed è un tuffo al cuore. È proprio lei, la sua vicina di casa.
“Come si chiama?” Chiede guardandolo.
Ha il cuore in gola. “Rufus, si chiama Rufus.” Dice con un filo di voce.
Gli sorride. Ed è davvero bellissima. Ma averla lì, davanti gli sembra così strano.
“E tu … come ti chiami?” Gli sorride. Continua ad accarezzare il cane.
“Lucio.” Risponde un attimo dopo. La guarda ancora. Il vestito è leggero, abbottonato davanti.
Si alza e gli porge la mano. “Io sono Iris.”
La prende e la stringe. Ma come ha detto è un imbranato con le donne, non riesce a dirle nient’altro. Resta semplicemente a fissarla.
Si siede sulla panchina, vicino a lui. “Non sei di qui, non ti ho mai visto prima. Vieni dalla città?”
Chiede incuriosita.
Scuote la testa. “No. Cioè sì. Prima stavo in città, ma ora abito in quella casa lì in fondo. Quella gialla.”
Lo guarda sorpresa. “Ma dai! Io abito in quella dietro!” Scoppia a ridere. “Siamo vicini allora!”
“Si.” Le risponde confuso.
Iris è davvero simpatica. Inizia a parlare del suo cane. Gli racconta di come è morto e di quanto le manca. Era un regalo di suo padre. Anche suo padre è morto. E lui l’ascolta rapito. Si perde nelle sue parole e nei suoi ricordi. E ad ogni sua parola gli piace di più. Il tempo passa troppo veloce. Ormai è buio e lui deve riportare Rufus a casa. Iris lo accompagna continuando a parlare. A raccontare.
Poi è lui che le racconta di se. Del perché suo padre se n’è andato e di tutto quello che gli viene in mente. Ormai sono arrivati. Sono davanti a casa sua.
“Sono stata bene con te.” Gli sorride. “Sei un ragazzo davvero simpatico. Possiamo rivederci se vuoi.”
Lui è felice. Certo che vuole rivederla. “Quando vuoi.” Le risponde. “Quella è la finestra della mia stanza.” Le dice indicando il lato della casa.
Scoppia a ridere. “Allora possiamo pure parlarci!” Lo guarda e si avvicina, gli stampa un bacio sulla guancia. “Ciao Lucio.” Poi entra di corsa in casa. Allegra e sbarazzina.
Resta un attimo a fissare la porta chiusa. Poi si gira e va a casa. Si tocca la guancia, dove lei lo ha baciato. Chiude gli occhi e sorride. Possibile, si chiede entrando in camera sua, possibile che sia successo?
Si sdraia sul letto e accende la radio. La musica dolce si diffonde. Chiude gli occhi e pensa a Iris. A quella ragazza bella, a quel piccolo bacio. Fa un sospiro. Si alza e guarda dalla finestra. La sua casa è buia. Nemmeno lui ho acceso la luce. Resta così, a guardare fuori, ad immaginare.
Poi la luce nella casa accanto si accende. Dietro le tende leggere vede qualcuno che si muove.
Spera che sia lei. Vorrebbe chiamarla. Ma non lo fa.
D’un tratto la tenda si apre e Iris appare alla finestra. Guarda verso di lui. Lo vede o forse no, non lo sa. Fa un sorriso e saluta con la mano. Si sporge un po’ e anche lui la saluta.
“Che fai? Mi spii?” Chiede ridendo. E lui annuisce. Perché non riesce a trovare le parole.
Scavalca ed esce. Adesso è lì, davanti alla sua finestra. È buio fuori, ci sono i grilli che cantano.
“Perché mi stai spiando?” Dice appoggiandosi con le mani sul davanzale.
Indossa un camicia da notte leggera. Bianca e leggermente trasparente. Si intravede il reggiseno, bianco anche quello. Si appoggia anche lui al davanzale. Non riesce a staccarle gli occhi di dosso.
Lei allunga una mano e gli accarezza il viso. Dolcemente. Scuote la testa. Si avvicina. Sente il suo respiro sul suo viso. È caldo e dolce. Ed è un attimo, si allunga un po’ e le sfiora le labbra con un bacio. Si appoggia semplicemente, dolcemente. Le sue labbra sono calde, invitanti. Le schiude lentamente. Inizia così, piano. Il loro primo bacio, la loro storia d’amore.
Il ritorno al presente è sempre brutto. I ricordi si annebbiano e il vecchio ritorna nel cimitero. Riapre gli occhi. È sempre così. Si alza a fatica dalla panchina. Si avvicina alla tomba e mette a posto il vaso di fiori. Iris amava tanto i fiori.
Il sole è appena tramontato. È ora di rientrare a casa. “Brutus!” Chiama.
Il cane alza le orecchie, anche lui è vecchio. Si alza lentamente e scodinzolando si avvicina al vecchio.
“Bravo Rufus. Andiamo a casa.”
Lancia un ultimo sguardo alla tomba. Manda un bacio a Iris e s’incammina aiutandosi con il bastone. Lungo il vialetto il cane tiene il suo passo stanco. Ormai sono tanti anni che si fanno compagnia. Da quando è morta Iris.
È un bravo cane, obbediente e tranquillo, sta pensando il vecchio. Soprattutto è un amico fedele.
Il cane scodinzola ancora. Anche lui pensa che quel vecchio sia un bravo padrone.
Non hanno fretta loro due, forse perché non c’è nessuno che li aspetta a casa.
Quei due vecchi amici, venuti a trovare il loro unico amore.
Se ne vanno così, con passo lento e il cuore pesante.

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