lunedì 7 giugno 2010

IL PRIMO E ULTIMO AMORE - CLEZIANO RICCETTI (41)

Ricordo quando ero quasi un uomo, avevo 15 anni, ricordo che ero innamorato perso della ragazza di un amico di mio fratello. Impersonava la quint’essenza della bellezza. Ai tempi padroneggiavano al cinema film con Alvaro Vitali, Lino Banfi ed altri ancora di cui non ricordo il nome, c’erano donne come la Carmen Russo, la Edwige Fenech la Gloria Guida. Allora noi ragazzi correvamo al cinema a guardarle e a sognare di avere un giorno una ragazza simile a loro. Io l’avevo al mio fianco e ricordo che mi voleva un bene della madonna, ad ogni occasione mi abbracciava soffocandomi tra le tette, a quel tempo ero piu’ timido di adesso, diventavo rosso e certe volte mi nascondevo ogni qual volta veniva a far visita a mia madre.
Era una donna ed io solo un bambino. Ci masturbavamo in gruppo sognando la Carmen la Fenech e la Gloria, ognuno aveva la sua preferita, certe volte ne discutevamo anche da “veri uomini” come se stessimo parlando di cavalli o di macchine con tutte le prestazioni che puo’ dare l’una o l’altra, ma io sognavo lei. Ero un ragazzo fortunato, ricordo che presi la rosolia, ero a letto cercando di non grattarmi sotto consiglio di mia madre. La sentii che rideva con mia madre in cucina. Il suo riso mi riempi’ di gioia e mi spavento’, mi rannichiai sotto le coperte fingendo di dormire. Entro’ nella mia stanza ed il suo profumo mi assali’ fino a dentro le viscere. La sua bocca carnosa e rossa, il suo seno abbondante, i capezzoli scuri che tentavano di bucare la maglietta e io che tentavo di nascondere una dolorosa erezione. I lunghi capelli scuri che portava sempre sciolti come una piccola selvaggia mi accarezzarono il viso quando mi bacio’, mi strinse ancora una volta forte a se ed io non avevo scampo. Per la prima volta stavo soffrendo d’amore, questa malattia che rimane dentro di te per tutta la vita e che ogni volta quando meno te lo aspetti si fa viva e ti colpisce il cuore fino a spezzartelo.
Ero fiero e facevo l’uomo quando andavo al mare con lei. Una volta mi buttai sott’acqua per la vergogna di aver visto il suo seno che le fuoriusciva dal costume, stavo quasi morendo affogato, stavo morendo per tutta la tenerezza che mi dava, forse aveva capito che ero un ragazzo che aveva qualche problema con i propri simili, ero nato solitario, certe volte ero solo e ne soffrivo ma certe volte ne gioivo mentre altri coetanei mi guardavano di nascosto. Amici invidiosi per la nostra amicizia mi chiedevano tutti i minimi particolari, ci chiudevamo nella mia stanza e per un ora diventavo il protagonista raccontando il tutto lasciando il piu delle volte libero spazio la fantasia. Raccontai di aver fatto l’amore con lei, certo l’avevo fatto mentre ero rannicchiato nel mio letto a tarda sera, l’avevo fatta mia. Morivo di rabbia quando il ragazzo la faceva piangere, volevo abbracciarla, stringerla a me, farla mia per tutta la vita. Ero solo un bambino.
Ci incontrammo di nuovo che io ero un uomo. Avevo 25 anni e lei 35. Io mi bucavo e lei era in astinenza. Ci incontrammo in piazza, non una parola tra noi, solo uno sguardo ed un abbraccio da spezzare le ossa, piangemmo ognuno sulla spalla dell’altro. Le asciugai una lacrima dalla guancia e la guardai, era ancora bella, era ancora un sogno da far impazzire qualsiasi uomo o bimbo sulla faccia della terra. Poi l’istinto del tossico prese il sopravvento, comprammo della robba e andammo a casa sua. Casa sua era un letamaio, puzza di merda e vomito che provenivano dal cesso, piatti sporchi nel lavandino, mutande e calzini infeltriti da tutte le parti. Mi sedetti vicino ad un tavolo ed iniziai a far bollire dell’acqua nel cucchiaio con un po’ di limone e un’abbondante dose di eroina per festeggiare.
L’eroina mi ha sempre dato quel calore e affetto che non ho avuto dalla mia famiglia, mi bucavo e mi sentivo protetto e al sicuro, coccolato. Questa volta l’abbracciai, avevo perso un po’ di quella timidezza che avevo da bimbo e che mi aveva fatto tanto soffrire. La baciai con tenerezza, le sciolsi i lunghi capelli e per un attimo fui catapultato dieci anni indietro. Le raccontai del mio amore, ne rise e ne pianse con quella risata che solo lei aveva. Il mio cuore esplose, nella mia testa vorticavano scelte di vita diverse: un matrimonio, un figlio con lei, l’amore eterno, accettavo gia l’idea di essere simile ai miei simili che avevo tanto evitato quando ero giovane. Lei di nuovo pianse piano ed io di nuovo le asciugai le lacrime e la strinsi a me. Avevo ritrovato la vecchia droga che mandava avanti il mondo: L amore. Lei mi racconto’ della morte per overdose del suo ex a Berlino, dei suoi tre aborti, del carcere. Poi come un macigno che ti viene addosso mi dice:“Clezia’, devo dirti che sono sieropositiva”.
Non ricordo cosa dissi, cosa ci dicemmo, volevo solo fuggire, volevo solo non aver sentito quella rivelazione. Piansi come sto facendo adesso mentre ve lo sto raccontando. L’avrei voluta prendere a schiaffi e baciarla, avrei voluto salvarla e ucciderla per non farla piu’ soffrire.
Amore mio, non sono piu’, non ho piu parole, forse il mio amore e’ solo egoismo. Ora sento solo un silenzio dentro di me, non ho piu parole per maledire questo amore e questo mondo, non ho piu’ parole per confessarti che rimarrai nel mio cuore per tutta la mia stupida esistenza. Ti voglio bene, buona notte, buona notte Alice.

6 commenti:

  1. Indipendentemente dal tema trattato e dal modo scelto per trattarlo (che mi spiace, ma io trovo piuttosto banale) il racconto non ha ritmo. Si passa da una riga all'altra in attesa di un crescendo, di uno spunto interessante o a limite di una svolta che purtroppo non arriva mai. Ma questo è solo un mio giudizio. Fabio V.

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  2. In risposta a Fabio V. credo che il racconto (sicuramente autobiografico e percio' per nulla banale) sia stato impostato senza un ritmo di proposito, con lo scopo di trasmettere al lettore quel senso di amarezza, dolore, tristezza ed impotenza di fronte a quello che si racconta. Io riesco perfettamente a captare il dolore soffocato dell'autore per questo amore che non e' mai nato e che no potra' mai nascere. Perche' aspettare un crescendo se poi e' proprio quel crescendo che viene deliberatamente spezzato dall'autore con la rivelazione di Alice? In questo caso lo spunto interessante non arrivera' mai e perche' dovrebbe? Perche' aspettarsi sempre un finale in un racconto? A volte, come in questo caso, la storia la si vive ed la si interpreta leggendola e non con la speranza di arrivare sempre ad una svolta finale. Lucilla

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  3. Sono d'accordo con Lucilla, il racconto esprime un'emozione cosi' intensa che si capta benissimo senza nessun crescendo.

    Massimo - Bari

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  4. Una storia a mio parere bellissima ed impostata molto bene dal punto di vista narrativo. Laura P.

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  5. Questa storia mi ha lasciato dentro una sorta di tristezza arrabbiata, e' come se ti si spezzi il fiato alla fine dopo la rivelazione, come se si volesse poter fare un qualcosa senza che si possa farlo. Forse non sono bravo ad esprimermi, ma sei stato veramente capace di trasmetetre la tua emozione, bravo davvero!

    Anselmo G. - Torino

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