giovedì 22 aprile 2010

IL PARADISO PUO' ATTENDERE - FABIANA ANDREOZZI (30)

Si stringe infreddolita nel cappotto, sollevando il bavero fin sotto il mento. Non le piace far tardi la notte ed essere costretta a camminare da sola fino a casa. Lachlein non ha scelta. Purtroppo non ha mai avuto possibilità di decidere il meglio per se stessa. Se cammina di notte, nel buio di quelle intricate vie, è solo perché vi è costretta. L’unico straccio di lavoro che ha trovato è in quello stantio pub di passaggio lungo la statale. L’unico lavoro che le permette di restare a galla e pagarsi l’affitto di quel tugurio che fatica a stento a chiamare casa. Ma per una come lei che non ne hai mai avuta una sembra una reggia, un posto caldo e accogliente a cui far ritorno. È stufa marcia della gente che le ronza intorno, tipi insistenti, dalle mani lunghe che restano impigliate nella scollatura del suo vestito senza neanche rendersi conto se è una tipa carina. Ubriachi, drogati, smidollati, gente reietta senza speranze, sembra che in quell’angolo di mondo si sia riunito tutto il ciarpame e la spazzatura umana. Lei sogna ancora che un giorno potrà elevarsi da tutto ciò. Non costa nulla sognare che un giorno da quella porta entri finalmente un ragazzo decente, uno che non abbia il fiato che puzzi di birra e il cervello vuoto… ma sono speranze. Lachlein trema e allunga il passo. Sì, fa freddo di notte, ma è la paura che le scorre lungo la schiena come un brivido a farla fremere. Si guarda intorno spaesata, ma quegli occhi intravisti al pub stasera non le sono per nulla piaciuti. Un sorriso sghembo, divertito dietro due occhi neri di pece privi di sfumature, di una bellezza incredibile ma di una freddezza terrificante. Infila la chiave nella toppa provando un misto di contentezza e soddisfazione. Anche stavolta ce l’ha fatta. La porta si spalanca nel buio della sua casa e in mezzo a quelle ombre scure di colpo intravede due occhi simili a lame sottili. Caccia un urlo, mentre la chiave le sfugge di mano insieme alla borsa. Le gambe molli minacciano di franare a terra, ma ha solo voglia di correre via. Gli stessi occhi, gli stessi inquietanti occhi. È un attimo, deve andare via. Si gira, ma una mano da dietro si chiude intorno alla sua. Biondi capelli quasi simili a fili d’argento svolazzano intorno sospinti dal vento. Rilucono nel buio come fari nella notte. Un sospiro quasi di pace si dipinge su quelle sconosciute labbra. Non le resta che chiedere aiuto e senza pensarci sprofonda in quelle braccia che sembrano invitarla e accoglierla. Il buio pare incupirsi, le poche luci che brillavano incerte sino a pochi istanti, ora si spengono di colpo. Un aria gelida sale dalla rampa di scale in fondo al corridoio. Vorrebbe scappare, ma questo alito di vento glaciale la paralizza. Vorrebbe stringersi il cappotto ma invece si aggrappa al corpo di questo ragazzo di cui non sa nulla. Si volta a scrutare l’appartamento mentre gli occhi oscuri si avvicinano privi d’incertezza. Nubi, abisso si scontrano come un temporale in quello sguardo e Lachlein trema. Si scosta cercando di allontanarsi da quella figura, ma il ragazzo biondo non le lascia scampo, la sua morsa sul braccio ora diviene di ferro. Non le piace tutta questa situazione ma sa bene che urlare non servirebbe a nulla, tutti chiusi nei loro appartamenti non uscirebbero neanche se sentissero un colpo di pistola. Se ne stanno serrati nelle loro vite, nella loro indifferenza. Si divincola con rabbia, vuole solo scappare. “La prego!”, sussurra disperata. La voce le trema e il respiro diviene affrettato, affannoso. Ora anche questo giovane le incute terrore, nonostante l’aspetto, nonostante quelle azzurre pozze non riesce a non tremare. Sarà la mano che le stringe il braccio, la prepotenza con cui la tiene lì al suo fianco.
“Cosa vuoi fare?”, gli oscuri occhi continuano ad incedere.
“Tu cosa vuoi fare!”.
Lachlein si guarda con sgomento intorno. Parlano tra di loro non curandosi di lei, come fosse trasparente e invisibile, eppure hanno profanato la tranquillità della sua casa. L’uomo biondo la spinge nell’ingresso e non può opporsi. La porta alle sue spalle si richiude come per magia in un tonfo sinistro. “Sono stato io a chiederlo”, risponde bruscamente.
“A quanto pare sei arrivato in ritardo!”, sghignazza mentre senza scomporsi la trattiene tremante al suo fianco. “Immagino che il tuo fascino, stavolta abbia fatto cilecca!”
L’altro non ride alle battute e in un attimo gli arriva sotto al naso afferrandolo per il bavero della costosa camicia. Lo tira su di qualche centimetro, sospeso nel vuoto, mentre Lanchlein cade a terra come una bambola di pezza priva di vita. Spaventata e senza forze striscia sul pavimento per allontanarsi da quei due. Vorrebbe alzarsi, scappare a rotta di collo giù per le scale ma le gambe non rispondono. Gli occhi sono spalancati e terrorizzati. Chi sono quei due? Neppure l’ha visto muovere nello spazio… e un secondo e tutti e due bloccano la porta, come se fossero legati dai pensieri. “Togliti di mezzo!”.
Questa volta è solo l’aria a muoversi, un bicchiere si disintegra a terra, il vetro di un quadro si frantuma in mille pezzi, le sedie intorno al misero tavolo si rovesciano. Non riesce a capire, afferra la maniglia della porta e la apre lentamente eppure questa si richiude in un tonfo sordo. Un coltello viene lanciato attraverso la stanza e si conficca contro il muro. Finalmente riesce a vederli. “Non è un gioco, non puoi pensarla davvero così!”, il moro dagli occhi scuri osserva il suo avversario con sguardo truce. “Non l’ho mai pensato!”, è la risposta secca dell’altro. Una luce abbagliante sfreccia nella stanza, è una sottile lama affilata, non ha tempo di pensare, uno spostamento e poi un dolore lancinante al braccio. Si accascia a terra terrorizzata mentre sente un fluido caldo scorrere velocemente verso la sua mano. Sfrega le dita e sente la consistenza del sangue, l’appiccicume e un brivido freddo le attraversa la spina dorsale. “Guarda un po’ cosa hai fatto, sei proprio un piccolo diavoletto!”, gli occhi cielo pieni di sarcasmo si piantano contro quelli oscuri. “Certe cose non dovresti farle, altrimenti che gusto c’è?”.
“È ancora viva solo questo conta!”, replica l’altro lanciando uno sguardo verso la giovane donna accasciata, dovrebbe avvicinarsi e soccorrerla. La sente la paura che le vibra nell’anima, il sangue che scivola via, ma è solo spaventata e lui non ha tempo di prestarle le cure. Non ora, non in presenza di lui. “Non insultarmi, sei solo una lurida ombra della notte, un servitore del demonio”. L’altro ride scompostamente, sistemandosi la bionda chioma. “Se cerchi di impressionarmi con le parole hai sbagliato strada!”. Si muove nella stanza con passo felino, mentre quegli occhi chiari si assottigliano per mettere a fuoco la sua preda. Sono occhi che non sfuggono a Lachelein. Rabbrividisce piena di paura. Non capisce, non può capire. Non afferra le parole, il senso di tutti quei gesti, quella magia, che davvero non può esistere. È un incubo, il peggiore che fa da quando è venuta al mondo ed è rimasta sola. Ma quest’incubo sembra così reale nella sua irrealtà… sembra così vivo, così come il dolore che le pulsa sul braccio ritmicamente. Chiude gli occhi stanca, non vuole vedere, non vuole morire. La vita fa schifo, se lo dice tutti i giorni, ma non è mai stata seria quando diceva che avrebbe voluto farla finita! “Angioletto dei mie stivali, non sei neanche capace di prendere bene la mira! Ci credo che il tuo padrone ti ha inchiodato qui, non sapeva che farci con uno come te!”.
“Chiudi il becco demonio che non sei altro, tutte le altre anime non ti sono bastate? Evindor anche lei ti sei portato via!”, sbotta il giovane moro mentre la rabbia lo pervade e nonostante non sia il suo elemento ora la sente chiara e pulsante, la voglia di uccidere diviene insistente. Il solo pronunciare il nome di Evindor lo ha mandato in crisi. Un angelo, un angelo corrotto, un angelo costretto a vendersi per salvare l’anima di un umano per portare a termine il suo compito ma nonostante ciò non ce l’ha fatta. “La piccola Evindor, con lei me la sono spassata un sacco, ricordo ancora le sue lacrime angeliche!”. Due enormi ali bianche sbucano dietro le spalle dell’angelo mentre i suo occhi ora paiono braci ardenti. Il suo nemico risponde con nere ali di pipistrello. Ora i colpi divengono insistenti, i mobili si disintegrano colpiti dal nulla. Lachelein striscia lentamente il più lontano possibile, un rumore assordante e si copre il volto con un braccio mentre i vetri della finestra volano come schegge diaboliche nella stanza. La colpiscono sul braccio provocandole stilettate di dolore. Lo sente, questa sera morirà, sente le forze lasciarla, sente il sangue riversarsi troppo velocemente dalla ferita. Scivola fuori sul balconcino sino a lasciarsi cadere a terra priva di forze in mezzo a quei frantumi di vetro. La vista annebbiata eppure le pare quasi di vederli muovere, di riuscire a percepirli con maggior percezione ora che si trova riversata sul pavimento in una piccola pozza di sangue. “La senti la tua piccola, ci sta lasciando lentamente, come Evindor!”.
Non può sentire pronunciare quel nome. Se non avesse perso quella piccola anima ora sarebbe già nel posto che gli spetta da secoli ormai. Per colpa di quel demonio e di quella piccola sciocca umana che si è lasciata sedurre ora sono pari. Non può permettergli di vincere e di restare qui sulla terra per altro tempo. È stufo di questi umani, semplici marionette manovrabili a loro piacimento. Stanco delle loro paure, delle loro preghiere. Lancia uno sguardo a Lanchelein che ormai è riversa in quel unico colore porpora. Sente chiaramente la vita che sgocciola via in ogni lacrima di sangue versato. Le basterebbe toccarla per risanare quelle ferite, ma lei lo guarda con quegli occhi azzurri ricolmi di paura, angoscia, quegli occhi chiari che somigliano troppo a quelli di Evindor. Lo tiene lontano solo con la potenza di uno sguardo. Non sa riconoscerlo per quello che è, il suo unico e probabile salvatore.
Lachelein si solleva tremante sulle gambe, appoggia la schiena fredda sulla ringhiera di ferro arrugginito e sconnesso. Ha paura di quei due e li guarda con la feroce determinazione di chi non vuole soccombere. Piuttosto che morire per loro mano preferisce scegliere il vuoto. Ma non ha tempo di scegliere fino in fondo coerentemente quale sarà il suo destino. È quella ringhiera di ferro a decidere per lei, scardinandosi con un ruggito feroce dalle travi di legno marcite sotto le intemperie. È finita, Lachelein si libra nel vuoto con un sorriso sul viso e gli occhi spalancati. Non grida di paura. Sa che nella vita non ha fatto nulla di male e il paradiso è il luogo dove trascorrerà una nuova e serena vita. L’angelo grida al posto suo e, ritrovato il modo di muoversi da quella paralisi, slancia una mano avanti per afferrare quella di lei, mentre l’altro se la sghignazza compiaciuto. La vittoria è in pugno, già vede le porte dell’inferno aprirsi. L’angelo si getta nel vuoto seguito dal suo nemico quando il corpo di Lanchelein si libra nel vuoto sospinto da una brezza leggera che si è alzata all’improvviso e di colpo il demone smette di sorridere. Una situazione così non l’ha mai vista: un corpo in caduta libera che fluttua nel vuoto e lentamente risale irradiato da una tenue luce sottile. Anche l’Angelo si guarda sorpreso intorno e tira un sospiro di sollievo, lui non sta facendo nulla per salvarla, eppure Lachelein non è più un’anima persa. All’improvviso il peso e l’ombra delle ali dietro le loro spalle sfuma via. Si scambiano uno sguardo denso di significato e poi impotenti chiudono gli occhi sotto il peso di quel cielo nero. La consapevolezza delle loro colpe, del loro giocar sporco, della ricerca di vendetta ora pare opprimerli. Il demone ride, un riso isterico mentre il suo compagno di volo resta immobile ad attendere l’impatto e con esso la fine eterna. Hanno fallito entrambi così miseramente da non meritare redenzione, non adesso quanto meno. Il volto pallido e sorridente di una donna prende forma nel nulla. Il suo sorriso squarcia il buio di quella caduta infinita. Anche il demone smette di ridere, fissa i suoi oscuri occhi in quelli blu oceano di lei, il fiato gli si mozza nello stomaco, quel sorriso, quelle labbra… e poi… un solo sussurro: “Evindor, perdonaci!”.
Lei sorride dolcemente come una bimba davanti al suo balocco preferito, stende le braccia in quell’abisso fino ad inondarli con una chiara luce. Li avvolge teneramente cullandoli verso il terreno. L’angelo rabbrividisce mentre gli occhi appesantiti si chiudono in un sonno eterno. Ha vagato per secoli con il solo scopo di tornare al suo cielo senza capire realmente il senso della sua missione sulla terra. Non conta quando e come tornerà, ma a quante anime donerà una vita, un senso, uno scopo. Quante Evindor, quante Lanchelein incontrerà sulla sua strada? A quante restituirà la voglia di vivere e di sperare? È questa la missione vera che non ha mai intrapreso. Il paradiso può attendere, finalmente l’ha capito.

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