giovedì 22 aprile 2010

VIAGGIO IN DUE - VANESSA VESCERE (23)

Sarebbe il caso di dirlo ora, mi chiamo Veruska e sono di origini russe. Mia madre si chiama Tatiana ed è alta e bionda. Naaaa! Mia madre non potrebbe essere più lontana dall’essere russa, e più lontana di così dall’essere bionda e alta… è così tonda che si fa prima a saltarle in testa che girarle in tondo. Di russo a casa mia c’è solo mi madre innamorata di Puskin e Tolstoy. Seppur non siamo russi, purtroppo non siamo nemmeno romani, quelli DOC da sette generazioni. Mia madre è di Roma, mia nonna è di Roma, ma mio nonno è di Reggio Calabria; la mia bisnonna è di Sessa Aurunca e il mio bisnonno di Milano. Dalla parte di mio padre la storia si fa incerta e nebulosa, ci vorrebbe un manipolo di scienziati a far luce, è peggio del mistero sulla creazione… comunque mio nonno è di Roma, prima di lui c’è un ?. Mia nonna è della Ciociaria, ma se la vedete somiglia ad una delle SS… i suoi parenti? Sono equamente distribuiti tra i campi del Lazio e qualche altra parte del mondo in cui sono immigrati in cerca di fortuna. Dovrei cercarla anche io, se non voglio morire zitella, acida e povera in canna. Ma resto aggrappata alle mie radici come il melo del mio giardino. Ho paura di appassire. Comunque sono proprio un bel miscuglio, ci manca poco e copro tutte le regioni. Da nord a sud passando per il centro, anche se ogni Santo giorno ringrazio Dio per avermi fatto nascere a Roma. Roma Caput mundi, un tempo; oggi più Roma ladrona, ma sempre di Roma si tratta. Sono fiera di essere romana perché vengo su da un popolo che ha conquistato il mondo allora conosciuto. Sono loro che hanno fatto la differenza, certo con i secoli si sono un po’ infiacchiti e ora non siamo dominanti neppure quando gioca la magica…(e quella beh, può anche perdere, tanto se sei un vero tifoso, la ami e basta senza discutere) Ma dico io perché mi sono infilata in questa maledetta storia? Acciuffo la valigia che pesa più di un macigno e arranco verso la porta. Non sto abbandonando Roma, questo mai! Sto partendo alla volta di Londra, un viaggio in un paese ostile. Ovvio, ostile per me e per i miei limiti linguistici! Dovevo nascere al tempo di Giulio Cesare quando la lingua diffusa era il latino! Perché diamine ora l’inglese deve far da sovrano ovunque? Ma l’Esperanto che caspita di fine ha fatto? Basta puntualizzare, mi trascino arrancando in ascensore. L’inglese dovrò impararlo, tornerò vittoriosa e tutto per aggiornare questo maledetto cv europeo!Guarda che tocca fare per riuscire a trovare un lavoro alla veneranda età degli ‘enta’ ormai raggiunti… Ormai non capisco più se è più difficile beccare un uomo serio e affidabile o il lavoro per la vita!
In silenzio mistico osservo le valigie rosa confetto, comprate appena da una settimana. Anche quelle maculate rosa erano carine però, perché ho scelto queste? Ma certo è vero, c’era il moro dagli occhi azzurri che mi ha rifilato la storia che se non vedeva almeno un set del nuovo modello, rosa shocking con rotelle piroettanti, allora lo licenziavano. Non che mi interessasse qualcosa del suo lavoro, ma non so, speravo ci fosse l’opportunità di avvalersi del trasporto, nonché del bel moro per condurre le preziosissime valigie da 865.30 € a destinazione, sane e salve. Beh okay diciamolo pure, speravo di portarmi nella valigia il moro occhi cielo, anche perché dopo una cifra del genere per un set di 4 valigie il premio di acquirente dell’anno ci stava tutto. Che poi non sono state tanto le 865 € a disturbarmi quanto i trenta centesimi. Su via neanche lo sconto? Certo se ero con la mia adorata madre sicuramente cercava di farsi togliere non solo i trenta centesimi ma anche i restanti 800 per la modica somma di 65 €. È ormai risaputo che le mamme del sud Italia nella compravendita sono le numero uno. Sicuramente con lei al mio fianco, beh manco ci entravo nel negozio, primo perché avrei fatto una figura pessima e secondo perché non mi avrebbe permesso di flirtare col moro. Che situazione, non riesce proprio a mandarla giù la storia del XXI secolo, dei cambiamenti e dell’essere persone dalle ampie vedute. Mia madre è la classica donna casa e chiesa, senza peccato che non va in spiaggia senza il suo costume anni 60 e con la scorta armata, come se alla sua venerande età qualcuno se la fila poi. Non che sia brutta ma insomma oltre a mio padre che la sopporta da 35 anni non riesco a immaginare nessun altro che possa incorrere in tal disgrazia volontariamente. Bando alle ciance ho un volo che mi attende non voglio rischiare di perderlo. Ormai sono a Roma da tre settimane e da tal tempo devio le chiamate di madre a mia sorella Sophia perché se solo viene a conoscenza che sono in Italia e non sono andato a trovarla mi lincia. Non che non volessi farlo ma… okay è troppo lungo da spiegare, lasciamo stare. Afferro le mie valigie, la cui reale missione ormai da tempo è stata persa, e mi imbuco nell’ascensore. Esplodo praticamente fuori tra le due porte scorrevoli che si aprono mentre il portinaio mi guarda perplesso. Gli faccio l’occhiolino ma so già che con questo burbero ottocentesco nulla funziona, mi lascia barcollare sin fuori da questo dannato edificio senza neanche chiamarmi un taxi. Beh potrebbe anche farlo visto che si libera finalmente di un peso. I miei occhiali da sole rosa strassati, o come direbbe mia madre stressati, si illuminano colpiti… non dalla luce del sole, ma dal bel colore vivace del Taxi che se ne sta immobile ad attendere. Osservo lui e poi, lei, malefica donna con una sgraziata valigia azzurro cielo che stona con tutto il mio bel rosa. Zampetto trainandomi la mia carovana verso l’unico mezzo di salvezza e lei? Lei fa lo stesso…
Ho sempre sognato di fermare un taxi alla Carrie Bradshaw di Sex and City, ma ho dovuto sempre accontentarmi di un posto da sardina in uno scardinato bus dell’Atac, e Dio è emozionante come un orgasmo, non si sa mai se si riesce a salire e se si scenderà indenni. Ma stavolta ho fatto le cose in grande per la mia partenza… va beh lo ammetto sono in ritardo stratosferico e mi tocca prendere il taxi altrimenti il volo per Londra diventa un miraggio. Mi slancio in avanti strattonando la valigia. È una piroetta classica degna di una leggiadra ballerina di fila quella che mi sono appena apprestata a fare mentre sbraccio una mano e urlo al conducente di fermarsi. Stride con una frenata pazzesca e diamine, ce l’ho fatta! Mi sento veramente Carrie! Mi precipito dentro quando mi sento sballottata di lato da un demente con un strano paio di occhiali strassati… e rosa?! Lo fisso allucinata ma non abbastanza imbambolata da permettergli di fregarmi il posto. “Si metta in fila, per la misera! Le sembra questo il modo di comportarsi? Non lo vede che ci sono prima io?”. Il tipo assurdo mi fissa, ma continua a spingere dentro la sua costosa e pesante valigia. Gliel’afferro di lato e cerco di rimetterla a terra. “No, mi sa che non mi sono spiegata, questo taxi è MIO!”. Guardo il conducente inviperita come poche volte lo sono: “Glielo dica anche lei che sono stata io a fermarlo per prima?!”. E la mia voce si alza di qualche decibel di troppo.
Sono troppo preso dal far entrare la costosa valigia rosa nel Taxi per preoccuparmi della voce inviperita, anche perché a questi toni ci sono abituato e basta semplicemente ignorare il persistente ronzio, anche se in questo caso è difficile farlo. Nel senso una zanzara è fastidiosa ma non riesce a spostarti una valigia dal peso a dir poco colossale. “Suo? C’è scritto forse celestina sulla carrozzeria? Non mi pare per cui!”, con uno spintone faccio entrare la prima valigia mentre lotto per infilarmi all’interno. Se questa non la smette le strappo tutti e quattro i peli che si ritrova in testa.
“Ah no guardi omuncolo rosa, non ci siamo intesi!”, riprendo sempre più scioccata notando la sua sfacciataggine. “Questo taxi è MIO!”, non ci penso due volte ad afferrarlo per la camicia assurdamente rosa e tirarlo giù di peso, mentre lui oppone una strenue resistenza. Non mi resta altro da fare se non prenderlo a borsettate in testa, mentre l’ignavo tassista non muove un dito per difendermi da questo malintenzionato in rosa. “Mi state facendo perdere i soldi!”, grida all’improvviso. “Il tempo è denaro! Dove caspita siete diretti?”
“All’aeroporto di Ciampino!”, diciamo all’unisono e sotto lo sguardo inacidito dell’autista ci apprestiamo a salire moggi moggi senza proteste.
Mi aggiusto la camicia. “Un Versace, cosa credi mi vesto al mercatino delle pulci come te?”, le sussurro indispettito senza farmi sentire dall’autista che bestemmia a tutto andare contro il traffico. Sgomma fuori dall’aeroporto e urla indispettito: “Sparite da qui, pazzi che non siete altro!”. Non me lo faccio ripetere, trascino fuori le mie valigie senza neanche pagare, cavolo il Taxi è di questa qui perché lo devo pagare io? Corro con Celestina alle calcagna. Mi segue! Deve essere un incubo, il più brutto di tutta la mia vita tra l’altro.
Stronzo e pure tirchio, penso mentre corro sulla rampa del veivolo. Un’occhiata veloce al biglietto e mi precipito al mio posto. E chi ci trovo? L’uomo in rosa! “La sua strada s’incrocia un po’ troppo con la mia oggi! Quel posto è MIO!”, scandisco quel mio con troppa enfasi, tanto che sopraggiunge alle mie spalle un hostess.
“MIO? Ma non è che hai la sindrome del possesso! Cos’è sei la proprietaria di una multinazionale che ti puoi permettere il Taxi e adesso anche l’aereo?”. Sbuffo decisamente contrariato. L’hostess mi squadra con curiosità, passa da me a lei. “Biglietti prego!”. Lo cerco nella borsettina da cintura seccato e glielo porgo. Celestina fa lo stesso e…
“Signori ci deve essere un errore, voi non siete in prima classe, ma in seconda!”.
Sbarro gli occhi, com’è possibile? Io non viaggio mai in seconda classe cosa ha combinato la mia azienda. “Vi prego di seguirmi!”. Ancora una volta accomunati dalla stessa sorte ci avviamo in seconda classe e… ecco lì i nostri due posti che brillano di luce, seduto come un divo di Hollywood un pezzo di uomo dai lineamenti scultorei. Mi affretto per prendere posto al suo fianco ma… non è possibile è come avere una palla da carcerato al piede. Celestina si fionda e si lascia letteralmente svenire senza contegno a fianco al bel moro. “No, forse non ci siamo intesi quello è il mio posto, questa volta ne sono sicuro!”, sbuffo, mi avrà attaccato la sindrome del mio, ma sento che il destino ha scelto per me ne sono certo.
Nooooo, non ci penso proprio a lasciargli il posto, non quando da quel volo può dipendere la fine della mia vita da single! Ignoro totalmente quella voce fastidiosa per sorridere al mio aitante vicino. “Mi scusi sono inciampata… sa com’è volare mi mette sempre ansia.”
L’uomo dal sorriso perfetto mi guarda con due occhi che farebbero sciogliere persino l’Everest. “Non si preoccupi, non le succederà nulla. Neanche si accorgerà di volare!”
Sto quasi per chiedergli non è che può “stringermi la mano”, quando…
“Mi scusi…!”, tossicchia l’hostess, “i vostri posti sono lì in fondo. Con malcelato trionfo osservo i due posti in fondo all’aereo, sono due uno di fianco all’altro e mi fiondo per occupare quello vicino al finestrino. “Questo è MIO!”, affermo. Mi volto e guardo fuori dall’oblò.
Sorrido mesta al superfigone. Non è destino! Mi trascino delusa accanto a quell’idiota patentato che fa da pendant alla mia giornata e alla mia iella abissale! Cosa ci può essere di più sfigato di essere senza uomo, senza lavoro, in partenza per un paese ostile? Essere seduti accanto ad un GAY!Ma non sono piena di pregiudizi. “Mi sa che è il caso di presentarci… piacere, Veruska”, e gli allungo una mano. Io e quel tipo abbiamo troppe cose in comune.
“No Celestina…?”, tossicchio, poi… “Piacere Silvio!”, e le sorrido chissà che il viaggio non passi più in fretta e poi con lei a fianco il mio sex-appeal risalta.

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