mercoledì 7 aprile 2010

LA DONNA DAL VELO NERO - SIMONE CENSI (32)

Mi chiedono per quale motivo abbia scelto questo mestiere. I miei colleghi risponderebbero per vocazione, ma io non ho mai avuto la vocazione di farmi ammazzare da qualche spiritello indemoniato. Sinceramente, penso di aver scelto questo mestiere, perché fin da piccolo sono stato al centro di alcuni episodi, che mi hanno segnato profondamente e mi hanno spianato la strada verso questa difficile professione. Ad esempio, rammento molto confusamente, gli anni passano anche per me, un episodio quando io e la mia cuginetta Lucy, da piccoli, andavamo a fare delle passeggiate nelle campagne circostanti la nostra casa. Era piena estate, il clima caldo umido soffocava i nostri respiri, non tirava un filo di vento ed a forza di camminare eravamo arrivati in una radura dove sorgeva una grande e vecchia casa abbandonata dai contadini da chissà quanto tempo. Tetto sfondato e porte e finestre tarlate. Avevamo camminato molto per quei sentieri e per riposarci un po’ ci sedemmo sugli scalini ormai decrepiti di quella casa, sotto l’ombra di un abete secolare. Ad un tratto, un pianto straziante ruppe il silenzio, un pianto di donna che proveniva da dietro quella casa. Così mi alzai di scatto, mia cugina mi prese per un braccio, ma inconsciamente io mi liberai dalla presa con uno strattone e girai l’angolo. Vidi una donna vestita di nero, appoggiata ad una fontana. Era lei che stava piangendo. Poi improvvisamente troncò il pianto ed alzò la testa. Mi fissò per alcuni secondi, con una straordinaria profondità. I suoi occhi erano del colore delle tenebre, i suoi lineamenti erano quelli di una donna matura, il suo sguardo era malinconico e irato allo stesso tempo. L’angoscia era l’unica cosa che riuscivo a provare. Svanì nel nulla, da lì a poco, prima che potessi parlargli. Corsi verso la fontana e riuscii a vederne solamente il riflesso nell’acqua, che sparì con il suo moto. Non dissi niente a mia cugina, che non mi fece stranamente nemmeno troppe domande. Rividi quella donna alcuni anni dopo, mentre portavo dei crisantemi a mio padre defunto. Andavo al primo albeggiare, scavalcando il cancello per essere sicuro di non incontrare nessuno al cimitero. Ho sempre cercato una solenne intimità nel rapporto con il mio padre defunto e andarlo a trovare negli orari di visita, è sempre stata una gran sofferenza per me. L’ambientazione certo era da pelle d’oca, dato che la nebbia si alzava dall’erba e si arrampicava sui loculi, rendendo sfuocate le fiammelle a ricordo dei morti. Gli alberi austeri emergevano dalla coltre, come guardiani di non so quale sepolcro. La ghiaia scricchiolava al mio passaggio e questo rumore sembrava quasi rimbombasse, tra le vie del cimitero. La trovai seduta su una tomba, ed anche in quella circostanza sparì nel nulla, ma questa volta perse un velo nero che ancora oggi, a distanza di molti anni, conservo nel mio piccolo museo di ricordi soprannaturali, nella soffitta della mia abitazione. Scoprii solamente in seguito, che quella dove era seduta era la tomba del marito e l’abitazione dove la vidi all’epoca era la casa dove avevano vissuto insieme per tanti anni. Deposi un fiore su quella tomba e per molto tempo non rividi più quella donna. Non dissi mai a nessuno anche in questo caso ciò che vidi, tanta era la paura che, a quella età, già mi potessero rinchiudere in un manicomio, accusandomi di essere pazzo. Solamente con l’esperienza capii che molto spesso gli spiriti dei defunti non riescono a oltrepassare la soglia dell’aldilà, perché qualcosa di terreno li tiene ancorati quaggiù, e ripensando a quell’episodio che mi accadde da piccolo pensai, con mio rammarico, che avrei potuto aiutare quella donna a lasciare pacificamente questo mondo, per darle un dolce riposo nell’altro, insieme al suo compagno di vita. Quella della donna dal velo nero devo dire, che è una visione abbastanza diffusa. Oramai viene vista come una leggenda metropolitana e molti non ci credono nemmeno più. Ad esempio posso citare a Guayaquil o Santiago de Guayaquil, cittadina dell’Equador in riva al pacifico, dove si narra che una bellissima donna, vada in giro di notte per il porto a caccia di uomini. Si narra che un uomo ubriaco, uscito dall’osteria, la vide ed iniziò a seguirla. Nell’abbracciarla scoprì il viso dal velo, e vide che non aveva la pelle ma solamente ossa. Un anima, che in vita ha avuto molti amanti e costretta per l’eternità a vagare per il porto di quella cittadina, in cerca di uomini. Altro avvistamento nel parco del castello a Milano, dove si dice che una bellissima donna velata di nero, nelle notti di pioggia, avvicini uomini soli, portandoli estasiati nella sua villa e al momento di finire a letto, togliendosi il velo, rimaneva solamente lo scheletro. Bhè, la mia di visione possiamo dire che fu molto simile, anche se lei non ci provò e non era uno scheletro. Però era sempre vestita di nero e scompariva nel nulla. Era una bella emozione ritornare in quella villa, dove giocavo con mia cugina da bambino, dopo tutto questo tempo. Con gioia scoprii che la tortuosa via per arrivarci me la ricordavo ancora. Arrivai a quella villa, o almeno a quello che rimaneva di quella villa. Oramai era un rudere, con il tetto sfondato e buona parte delle pareti crollate, oltretutto sopra la fontana dietro casa. All’interno del rudere crescevano piante e vegetazioni spontanee. Provai a crearmi un varco, ma si avanzava a fatica, nel fuggire disperato di piccole lucertole. Chiaramente dentro la vecchia villa non vi era più niente di niente, una grossa trave di legno marcita aveva ceduto al passare del tempo e nel cadere aveva fatto gran parte del danno, facendo sprofondare il secondo sul primo piano. Dato che ero arrivato fin lì, ed ero anche tutto sudato, non valeva la pena andare via così e decisi di mettermi a spostare un po’ di mattoni caduti e vedere un po’ questa famosa fontana dell’apparizione. Alla fine non dovetti lavorare più di tanto e la trovai solamente con il fondo, dove ancora si raccoglieva un po’ d’acqua piovana a mo di pozzanghera, con le pareti completamente cedute e distrutte a terra. Sollevando un masso, feci accidentalmente cadere un altro a terra e, strano a dirsi, il suono risultò ben diverso da come mi aspettavo. Era una specie di rimbombo, che era abbastanza strano per quel luogo. Per essere certo di quello che avevo udito, decisi di fare un altro tentativo, ottenendo lo stesso risultato. Suonava a vuoto. Ripetei la stessa cosa con un masso molto più grande e con molta più forza. Forse troppa. Il terreno cedette tutto di una volta e ci mancò poco che venissi inghiottito anche io. Non ero poi così piacevolmente colpito dalla scoperta, perché non volevo certo scoprire tanto e non avevo nemmeno poi così tanta voglia di andarmi a cercare guai in questo modo. I ferri del mestiere li avevo dietro con me, dato che era nelle mie intenzioni entrare nella villa e visto che avevo trovato dove intrufolarmi, mi tornarono comunque utili. Ma prima di calarmi sotto la fontana, sondai tutto il terreno intorno, per vedere fino a dove suonava a vuoto il pavimento. Constatai che l’area coinvolta era notevole e andava a finire direttamente sotto il rudere della casa. Forse era semplicemente una cantina e l’ingresso canonico, non quello che avevo aperto involontariamente io, era proprio all’interno della casa. Esitai ancora un momento a scendere, pensando che se fosse successo qualcosa non ci sarebbe stato nessuno per chiedere aiuto e sarei rimasto lì, chissà per quanto tempo. Pensato questo, e soddisfatto il mio senso di auto conservazione, scesi, se non altro perché non me la sentivo di rifarmi la sfacchinata fin lassù un’altra volta. Legai una corda a un albero non lontano e con radici forti, lampada alla mano mi calai nella crepa. Scesi con l’eleganza che mi contraddistingue. Le mani sudate scivolarono dalla corda e atterrai sopra un folto cumulo di sassi, muschio e alghe, frutto di acqua piovana depositata da non so quanti decenni, proprio nel bel mezzo di un salone. L’odore nauseabondo, mi ricordava quella volta che scesi in una cripta dove pensavo di trovare un mucchio di ossa datate e invece era un mucchio di corpi in decomposizione fresca. Fortunatamente la lampada era ancora servibile, nonostante la caduta, e afferrata iniziai a spaziare gli orizzonti, in quel nuovo mondo sotterraneo. Precisamente sotto la fontana, a lato di dove ero caduto rovinosamente, una specie di fonte battesimale, dove l’acqua piovana della fontana esterna, veniva raccolta. Ancora abbastanza conservata con, in rilievo sulle sponde laterali, alcuni particolari simboli che a prima vista non avevo notato, ma poi ne capii bene la provenienza. Due file di colonne ai lati della stanza per la parete più lunga e il soffitto ad arco, con degli affreschi oramai rovinati dal tempo. Provai a farmi tutto il perimetro della stanza e trovai verso il fondo una porta di legno. La stanza era completamente vuota, a parte quello che ho descritto, ed a quel punto decisi di aprire la porta. Chiusa. Nonostante l’aspetto non fosse resistente, non ne voleva sapere di aprirsi, né con le buone né con le cattive, tanto che decisi di abbatterla a calci, fino a quando un asse cedette e aprii una fessura per vedere dall’altra parte. Dall’altra parte la scalinata, che dalla parte interna dell’abitazione portava alla cantina dove mi trovavo e le travi ed i calcinacci dei piani superiori. Stavo quasi per ritornare indietro, visto che non avevo trovato niente da fare la sotto, quando intravidi qualcosa uscire dalle macerie. Non ci volevo credere nel vedere che, una sagoma scura, usciva dagli interstizi tra le pietre e le travi cadute. All’ inizio era un fluido scuro, che filtrava dalle rovine e si andava ricomponendo al di fuori, senza smuovere pietra alcuna. La sagoma cresceva man mano che si avvicinava alla porta e prendeva sempre più forma. Io mi ritirai indietro cadendo a terra, faccia alla porta. Niente. Cercai di alzarmi riprendendo fiato, mi girai spalle alla porta, con le mani alle ginocchia per rientrare in me stesso, e proprio in quel momento mi sentii investire da un gelo di morte, che attraversò il mio corpo togliendomi il respiro. Rimasi sempre cosciente. Vidi la sagoma che aveva attraversato la porta e, noncurante di me, aveva attraversato anche il mio corpo passandoci attraverso. Un urlo soffocato mi si chiuse in gola, lasciando uscire solo una nuvola di vapore acqueo dai miei polmoni. Già a distanza di un paio di passi riuscii a riprendere fiato e lentamente la gelida sensazione che mi aveva quasi paralizzato, stava svanendo. Vidi la scura ombra attraversare il salone, proprio al centro, e al suo passaggio delle fiammelle si accendevano ai lati della stanza ondeggiando lentamente. Arrivò fino in fondo alla stanza ed entrò nel muro. Le luci si spensero tutte assieme e il buio più nero riprese possesso della stanza. Caddi in ginocchio e rimasi lì per un po’, immobile. Ripresi la lampada vicino a me e cercai subito una sigaretta. Rimasi immobile finché non l’ebbi finita tutta. Avevo domato la voglia di lasciare tutto e andarmene via, ero ritornato in me stesso e decisi di voler andare fino in fondo alla questione. Guidato dalla lampada arrivai verso la parete, dove la sagoma era scomparsa, e provai a tastare la parete. Facendo un passo indietro notai che c’era sul muro una chiazza con una colorazione decisamente più chiara, che prima non avevo minimamente visto. Probabilmente era una porzione del muro che era stata rimossa e poi rimessa lì. Provai a battere sul muro con degli arnesi ed il rumore su quella macchia era effettivamente diverso, era proprio lì che bisognava andare ad operare. L’interstizio me lo creai da solo, con l’ausilio di uno scalpello e messo dentro una leva di ferro, mi aprii un bel varco. Anzi, posso dire che rischiai di rimanere sotto alla parete, che mi cadde addosso. La polvere che tirai su ci mise un bel po’ per svanire e fuoriuscire dal crepaccio, da dove ero entrato, lasciando intravedere un’altra parete con un libro murato dentro. Ostacolato dall’oscurità, e dalla polvere che tardava a svanire, aiutato dalla lampada, dai miei occhiali e dalle mie conoscenze di cabalistica, capii subito di cosa si potesse trattare. L’arcano si svelò subito da solo. Il marito della donna, della quale sembra si fidasse molto poco,e a quanto pare molto geloso, firmò un patto con Zapan, uno dei sette re di Belzebù, e vendendo la sua anima da morto e imprigionando questo contratto nella pietra, costrinse la moglie alla fedeltà assoluta nei suoi confronti sia da viva che da morta. Infatti il contratto firmato obbligava la poveretta a non poter andare via di casa, per nessun motivo ed essere obbligata ad essere la compagna fedele del marito per l’eternità. Ecco perché le uniche due apparizioni che ebbi di quella donna erano state sulla tomba del marito ed intorno a quella villa da piccolo. Murando nel sotterraneo quel contratto, il demone aveva legato il suo potere anche a quel luogo, riuscendo ad appropriarsene. Me ne andai e ritornai la notte stessa, con un mio amico molto più esperto di me in questo genere di servizi. Ci calammo insieme e riconobbe anche lui il contratto. Eseguì il rituale e interruppe la schiavitù che legava a questo mondo quella povera anima e quella terra, asportando il mercimonio dalla parete di pietra. Non vidi più quella donna e mi piace pensare che ora riposa in pace. Lo scritto rimase al mio amico, come ricompensa del suo aiuto e il velo che conservo rimase a me, come ricordo di questa avventura.

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