domenica 11 aprile 2010

LA VERIDICA HISTORIA DE GUANDA - CAVALLARO FEDERICO DAVIDE (27)

Sono in pochi a conoscere i veri accadimenti dietro alla tragedia del bosco di Guanda, un fatto che risvegliò le dicerie più strane e che in tutte le sue variopinte forme contribuì a render leggenda il luogo. Tuttavia la verità è assai più inverosimile di quanto si possa immaginare. Avvenne tutto nell’autunno del 1637, in un bosco lussureggiante e antico affacciato sui Pirenei… e cominciò tutto con una farfalla. Essa si librava tra le falde dei funghi, diretta ad una radura dove tre ragazzi camminavano. Ormai stanca del suo viaggio, si posò sul naso di uno dei giovani, chiudendo pigramente le ali.
Bernardo la allontanò con una manata. Odiava gli insetti. Non c’era una sola cosa a Guanda che gli piacesse. Anzi il bosco gli metteva in corpo una gran paura, così come spaventava tutti al villaggio. Perché aveva accettato la scommessa? I cinghiali li avrebbero uccisi tutti e tre.
Era quello l’unico vero pericolo a Guanda. Non si poteva entrare nel bosco senza incontrarne almeno uno e attaccavano chiunque, uomini e animali. Per questo la gente del villaggio diceva che la selva era maledetta. In effetti, Bernardo non si sarebbe sentito di arrivare fino alla radura senza la compagnia di Felipe e Bianca e gli venne in mente proprio allora che non avrebbe potuto uscirne da solo. Si sentì improvvisamente in trappola.
Se lo avessero fatto apposta? Si vociferava di una rivolta, contro le angherie e le vessazioni di suo padre.
La placida Bianca lo guardò preoccupata, intuendo molto del suo stato d’animo. “Avete giurato, Don Bernardo. Ricordate. Di ciò che vedrete e sentirete oggi non dovrete mai farne parola con nessuno, in specie con vostro padre”.
Felipe scambiò con la sorella un cenno di intesa e dopo un sospiro disse: “È custodito un tesoro qui, sorvegliato dai cinghiali e da… altro. Per tre anni noi ce ne siamo presi cura”.
“Ora però tocca a voi”, continuò Bianca, tendendogli la mano e Bernardo si lasciò condurre poco più in là, attraverso un sentiero segreto. D’un tratto però, tra un passo e l’altro, il ragazzo avvertì una strana sensazione. Se non fosse stato per Felipe che ebbe il buonsenso di trattenerlo per un braccio, egli sarebbe scappato a gambe levate. Bernardo non riuscì ad allontanarsi dal contadino, mentre notava intorno a lui delle presenze. Si nascose persino dietro al coetaneo, sbirciando quei movimenti percepiti sui rami delle querce.
Creature ben mimetizzate lo stavano osservando insistentemente. Bernardo emise un mugolio. Sentiva centinaia, migliaia di occhi puntati su di lui. Per tutta risposta Bianca lasciò che una di quelle cose le salisse su una mano e con somma attenzione la avvicinò al ragazzo terrorizzato.
“Non vi faranno del male. Vogliono solo essere sicuri che voi non siate pericoloso”.
La creaturina alzò delle piccole braccia legnose, sottili come quelle di un insetto, su Bernardo ed egli si ritrasse, ancor più schiacciato a Felipe. Tuttavia, quell’essere doveva aver visto abbastanza con quegli occhi così grandi, poiché saltò giù pacificamente. Indicò loro la strada dove un tronco cavo e ricoperto di muschio, non dissimile da molti altri, sorgeva in mezzo alla più ampia area di verde rimasta a Guanda. Vi era qualcosa che risplendeva all’interno, e fratello e sorella camminarono con reverenza verso la luce, portando il timoroso Bernardo alla scoperta del loro tesoro più grande.
“Che cos’è?”. La curiosità vinse infine la paura. Pareva una sfera illuminata all’interno da un bagliore dorato, grande quanto una testa. Vi era solo un’ombra al centro, un qualcosa di vivo che si contraeva dolcemente e che aspettava di nascere. Il ragazzo non osò toccarla, nonostante quella sfera sembrasse veramente oro puro.
“Nessuno lo sa. È sempre stato qui a Guanda”, disse Bianca con solenne tristezza e smanioso desiderio. “Non sappiamo nemmeno quando si schiuderà. Forse nessuno di noi lo vedrà mai. Il nostro compito è stato di custodirlo, così come fanno a loro modo i cinghiali e gli spiriti. Dobbiamo mantenere la paura che Guanda sia maledetta, impedire a tutti di arrivare anche solo per caso sino a qui. Ne capite il motivo?”.
Bernardo annuì ipnotizzato dall’uovo. Ecco perché avevano scelto lui, dunque. Suo padre, Don Ricardo, si avvicinava ogni giorno di più a quel santuario, strappando un albero dopo l’altro al bosco.
“Non posso convincere mio padre a lasciar stare Guanda”, si rifiutò il ragazzo, intimidito alla sola idea di parlargli. “Voi credete che solo perché io sono suo figlio, egli abbia dei riguardi per me, ma non è così. Comunque non mi ascolterebbe. Questo bosco e la certezza di una ribellione sono diventati il suo chiodo fisso”.
“Vostro padre è un pazzo sadico e crudele! Ha buon motivo di temere il popolo che ha maltrattato. Smettetela di aver paura di lui e comportatevi da uomo”, lo rimproverò Felipe e il giovane signore si sarebbe offeso se non fosse intervenuta Bianca a calmarli entrambi.
“Voi siete migliore di Don Ricardo, signore. Se solo aveste il tempo di dimostrarlo… ma purtroppo questo tempo non l’abbiamo. Dovete fare qualcosa subito”.
Bernardo però si ritrasse da quella responsabilità. Non se la sentiva di andare contro a suo padre, in alcun modo. I due ragazzi lo capivano certo, eppure anche lo biasimavano per la sua vigliaccheria.
“Allora speriamo che la ribellione dei nostri compaesani abbia più successo”, cambiò argomento Bianca e a Bernardo non piacque il suo punto di vista. “Se tutto andrà bene, noi due ci siamo ripromessi di proteggervi, Don Bernardo, e di darvi asilo qui, a Guanda. Ma se per caso la ribellione dovesse fallire, allora nostro padre fuggirà dal villaggio. Prima che io divenga troppo grande e Felipe troppo impulsivo. Se così fosse, voi sarete il solo a potervi occupare di questo segreto. Perciò vi prego, giurate di tenere questo uovo al sicuro. È davvero troppo importante”.
Bernardo fu costretto a promettere, di fronte alla forza di quello sguardo, e i due lo riaccompagnarono fuori da Guanda. Gli garantirono che d’ora in poi nessuno più gli avrebbe nuociuto nel bosco e gli chiesero di venire l’indomani sino alla radura per parlare ancora.
E il giorno dopo, Bernardo venne sì a trovarli nel luogo e nell’ora prestabiliti, ma con lui giungeva anche Don Ricardo e tutti i suoi fedelissimi.
“Dunque è qui che vi riunite per cospirare contro di me”, parlò il signore. “E la definivate maledetta, mi pare. Molto astuto”.
Felipe e Bianca fissarono nel contempo Bernardo, con occhiate di odio. Pronunciavano con la mente l’accusa di tradimento.
Il ragazzo volse altrove lo sguardo. Come avevano potuto pretendere che egli convincesse suo padre di lasciar in pace il bosco? Appena era arrivato a casa, per salvarsi dal bastone si era nascosto dietro colpe e menzogne più verosimili della realtà.
Don Ricardo diede ordine ai suoi cavalieri di preparare la frusta. Ma prima il signorotto comandò: “Parlate! Dove si trova il tesoro di cui mi ha parlato mio figlio?”
Poiché nessuno dei due braccianti rispose, uno dei cavalieri spinse in mano a Felipe un’ascia e gli intimò di cominciare ad abbattere i tronchi di Guanda da solo. Una fatica simbolica, un atto di sottomissione.
Felipe digrigno i denti, e Don Ricardo che se ne accorse, lo squadrò severamente.
“Vedo ancora che credi di potermi sfidare, ragazzo. Bernardo, misura la sua inattività sulla pelle candida della sorella. Quaranta scudisciate, o se preferisci ne puoi spartire venti con lei”.
Il ragazzo, piagnucolando per i lividi che già aveva, prese in mano la frusta, ma guardò tutti come se qualcuno potesse salvarlo.
“Non ascoltarlo, Felipe. Non fare come ti ordina!”, gridò Bianca e poi fece un cenno a Bernardo, affinché compisse l’ingiusto castigo, costringendolo a scegliere da che parte stare.
Il giovane signore caricò indietro il braccio e la colpì debolmente. Proprio allora scorse le creature del bosco assieparsi intorno. Arrivavano a stormi, con un frullio d’ali, eppure oltre a lui solo i cavalli parevano in grado di vederle. Il ragazzo in panico gettò a terra la striscia di cuoio e cadde in ginocchio.
“Vi prego, padre! Non fateci del male. Vi condurrò al tesoro”.
“Sei sempre stato un codardo. Mi disgusti, figlio”, disse Don Ricardo con disprezzo. “Ma sarò clemente. Mostrami la strada, spezza l’ultimo legame che hai con questi infimi schiavi e ti concederò di andare a nasconderti. Lo trovi accettabile?”.
Bernardo avrebbe voluto patteggiare anche la salvezza dei due contadini. Sfortunatamente, la possibilità di sfuggire a quella scena di violenza era una tentazione troppo forte. Pertanto, egli rispose positivamente.
I guardiani di Guanda seguivano però la comitiva e appena Bernardo raggiunse la vista del tronco cavo, essi emisero acuti furiosi. I cavalli risposero a quelle strida e non più agli ordini dei cavalieri. Li sbalzarono di sella uno dopo l’altro. Anche il signorotto fu disarcionato e cadde sul figlio.
A quel punto scoppiò il caos. Appena tutti si rialzarono, videro i cinghiali apparire, un’orda inferocita e strillante che formava un muro davanti al nascondiglio dell’uovo. Le pistole degli uomini di Don Ricardo li dispersero in massima parte, ma ce n’erano semplicemente troppi.
Erano stati circondati, era la fine.
“Morte ai tiranni!”, proruppe una voce in mezzo alla confusione e Bernardo si vide correre incontro Felipe che brandiva l’ascia su di lui, per difendere il segreto. Il giovane signore cercò la sua pistola, senza trovarla al fianco. Don Ricardo scaricò la sua palla di piombo sul giovane bracciante, centrandolo al petto.
Le creature gridarono ancora, distraendo lo spaventato giovane. Alcune di esse scesero come pipistrelli sugli uomini appiedati. Ormai era una battaglia, combattevano contro Guanda, tra il visibile e l’invisibile, sopraffatti da forze che non comprendevano. Ma non Bernardo: il giovane era ignorato da tutti e temeva il momento in cui si sarebbero ricordati di lui.
Uno sparo lo immobilizzò. Il proiettile gli era fischiato ad una spanna dalla testa ed era entrato nella spalla di Don Ricardo. Il ragazzo vide il padre accasciarsi con un’espressione sofferente e guardò oltre la pistola che aveva perso, scorgendo il volto di Bianca spezzato dal dolore. Un attimo soltanto, poi tutti quelli che avevano ricaricato le proprie armi le scaricarono subito per il terrore sulla fanciulla.
Furono quegli occhi meravigliosi che colpirono Bernardo, prima che la luce si spegnesse in essi. Doveva allontanarsi dalla morte, era fondamentale sopravvivere.
Il ragazzo corse verso il tronco cavo. Con ambo le mani afferrò la sfera dorata. Doveva uscire da Guanda e tutto sarebbe andato bene. Don Ricardo invocò il suo nome per l’ultima volta. Bernardo però non si voltò né fermò mai, pregava che nessuno lo seguisse fuori da Guanda. Non si preoccupava più di niente, finché una farfalla non gli si posò sul viso.
Bernardo mosse istintivamente le mani per scacciarla, temendo che fosse uno di quei mostri. Così perse la presa sulla sfera. Così l’uovo precipitò, senza che egli riuscisse ad impedirlo.
Una luce abbagliante allora si espanse, inghiottendolo insieme a tutto il bosco.
Fu questo che videro al villaggio: un’esplosione accecante… e poi di Guanda non era rimasto più nulla. Scomparve tutto in quell’abbagliante momento, lasciando solo terra bruciata e una rosa di alberi neri, un cerchio di morti rimasti in piedi come un monumento.
Da allora, molti hanno proposto le ipotesi più disparate sugli accadimenti circa la scomparsa di Guanda, di Don Ricardo e di Don Bernardo, concludendo sempre allo stesso modo le loro storie. “Il male ha contaminato quella terra. Non seminare nulla laggiù, poiché crescerà contorto e mutato. E basta calpestare quel deserto riarso per morire entro pochi giorni, con il corpo gonfio”. Nessuno però poté testimoniare l’incredibile verità custodita nel folto del bosco. E cosa l’uovo fosse, cosa contenesse e se ne esistessero degli altri sparsi sulla Terra, rimarrà un mistero celato per sempre dietro la tragica, vera storia di Guanda…

10 commenti:

  1. Nonostante la drammaticità dei fatti raccontati, la lettura mi ha lasciato la sensazione piacevole dell'esistenza di un futuro migliore per l'uomo e la Terra, un futuro già intuito, ma da costruire con dedizione e coraggio, che ci mette tutti davanti alla possibilità/necessità di scegliere e cominciare a cambiare. Bravo!

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  2. Bravo! Bellissima la caratterizzazione dei personaggi e la simbologia. Molto attuale. E' tempo di scelte e attenzione alle semplici farfalle.

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  3. Grazie. Un bel tuffo in un'atmosfera fatata. Mi piace pensare che l'uovo abbia assolto il suo compito, e nonostante il sacrificio di innocenti abbia distrutto il male.

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  4. Una storia attuale dove nulla è scontato e tutto è possibile. La condivisione del coraggio, delle paure, muta il mondo e apre le porte a nuove opportunità per il continuo evolvere. Mi è molto piaciuto.

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  5. I miei complimenti! Il coraggio, la fantasia ed i sottili particolari sono ben miscelati e regalano emozioni che possono essere sentite anche riguardo al mondo attuale..
    Bella anche la descrizione delle espressioni dei personaggi, il tutto è molto coinvolgente!

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  6. ...a volte ci si domanda se un giorno l'uomo imparera' a com-prendere il grande disegno.....grazie per avercelo ricordato.....:o))

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  7. Bel racconto, attuale nel giorno d'oggi. vista la stoltezza umana che radica la vita nelle paure più che nella Luce.
    M

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  8. Bel racconto, complimenti.
    Gianni

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  9. Bravo,
    un bel racconto, ben costruito così come i personaggi.
    Complimenti!

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  10. Un racconto coinvolgente, hai mai pensato di scrivere un libro fantasy?
    Intanto bravo!
    Enza

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