mercoledì 7 aprile 2010

SERGIO, LA NONNA E... - SALVATORE GRIECO (52)

Luglio, in quei quindici giorni appena trascorsi, aveva imperato sugli uomini e sulla natura. Per i contadini di Terra di Lavoro aveva anticipato quella fase estiva già carica di buone aspettazioni. L’aria era bollente e le colture, in particolare quella del Burley, e del Sammarzano ne stavano godendo. Il caldo dunque faceva intravedere la possibilità di ricavare da quell’enorme distesa di tabacco e pomodoro, una cospicua sommetta. I Coltivatori Diretti erano contenti e seppure per irrigare necessitassero d’acqua in abbondanza, volentieri mettevano mano alla tasca e si davano un gran daffare. Quei campagnoli erano in sereno fermento già da giugno e sino a quel momento, nessun intoppo era capitato per porli in allarme. Il diciassette luglio invece, era passata da poco la mezzanotte, sembrava che il Padreterno volesse mettere a dura prova quei poveretti, infatti, di tanto in tanto alle finestre di casa Cimmino giungevano tali raffiche che per l’indomani nulla di buono lasciavano immaginare. Alle cinque Orlando, il capofamiglia, preoccupato s’era accostato alla finestra della camera e come sua abitudine aveva dato una sbirciatina al cielo ancora avvolto dal buio. “Eppure” tra sé aveva mormorato “questa giornata che sta per rischiarare non mi convince” e aveva pienamente ragione; difatti quel crepuscolo di metà mese pareva più simile ad un periodo autunnale anziché ad un bel tempo caldo e calmo. Escludendo la particolare osservazione non aveva colto nulla di preoccupante e così, facendo le spallucce, aveva svegliato la moglie Teresa, sollecitandola ad alzarsi. Era ancora buio allorquando, controvoglia, marito moglie erano usciti da casa per avviarsi al podere, che dal paese distava circa dodici chilometri. Il cielo cominciava appena a rischiarare, quando Orlando fermò la sua vecchia Panda. L’aveva lasciata dinanzi alla pergola d’uva fragola. L’afa era terribile e la coppia di sposi, ricurva tra quei lunghi filari, a gran fatica stava portando avanti il duro lavoro di sarchiatura dell’infestato terreno. In lontananza il cielo si caricava di nero annuvolamento e l’aria, pregna d’umidità, diveniva maggiormente irrespirabile. Di là del pesante e consistente lavoro sin lì portato a termine marito e moglie lavoravano in maniera serena e seppure il cielo velato non invogliasse a fare di più loro, permanendosene a capo chino, tiravano avanti senza accorgersi di ciò che stava accadendo solo qualche chilometro più in là. Proveniente da Nord, proprio dalla direzione del loro paese con terribile lentezza si avvicinava un nugolo consistente di nerissima e sinistra nuvolaglia. Teresa era stata la prima ad adocchiarla, ma non vi aveva dato alcuna importanza. Già altre volte era capitato che simili addensamenti si avvicinassero minacciosi allo stesso modo, poi, però avevano cambiato direzione. V’era da aggiungere anche che Orlando, qualora lei gli avesse chiesto di tornare a casa di certo le avrebbe risposto di non stare a preoccuparsi dacché quella mutazione non significava nulla. Teresa era stretta nella morsa del panico, tuttavia per non innervosire il marito aveva scelto di tacere. Zappava standosene muta, eppure in quei momenti non mancava di preoccuparsi per il suo Sergio di appena sei anni. Sapeva bene che, con un simile tempo, la nonna non gli permetteva di mettere il naso fuori l’uscio, ma non poteva fare a meno di pensarci dacché il terrore che potesse accadergli qualcosa l’assillava. Il cuore restava gonfio, mentre già le prime gocce, grosse come un chicco d’uva, cominciavano a venire giù, eppure il lavoro nel campo andava portato a termine. Alfine avevano resistito sotto la pioggia solo pochi minuti poi, zuppi come capre, s’erano infilati nella Panda e lì, tra un’imprecazione e un gemito di paura, aspettavano che la bufera passasse.
La chiamata sul cellulare li raggiunse, quando intirizziti s’erano appena appisolati standosene stretti l’una all’altro. Orlando fece appena in tempo a dire pronto, poiché sua sorella Maddalena, con la voce rotta dalla violenza del dolore, lo zittì farfugliandogli: «È una tragedia, corri subito a casa.» Il telefonino divenne di colpo gelido. A nulla valsero le ripetute richieste d’altri dettagli che Orlando, in preda al panico, non smetteva di urlare nell’inanimato oggetto. La comunicazione si era interrotta lasciandoli nel totale sconforto. Il loro pensiero andò al piccolo Sergio e perciò nel tombale silenzio ebbero giusto la forza di guardarsi negli occhi. Orlando era stato il primo a riaversi e mentre con la mano tremante e il corpo pervaso dal sangue gelido stentava a far partire quella maledetta automobile Teresa, preda di un attacco isterico, piangendo aveva cominciato a strillare e a strapparsi i capelli. Al terzo tentativo il giovane Coltivatore Diretto riuscì a mettere in moto quel catorcio di macchina. Se ne serviva giusto per spostarsi da un campo all’altro e al più per andare a comprare l’occorrente alle bestiole che teneva nella stalla posta a ridosso della friabile montagnola che sovrastava la sua casa. Orlando dallo spavento trasudava più di una bestia in affanno e dopo che aveva percorso quel tratto di strada sterrata di via poderale senza sapere come, si ritrovava già sulla strada asfaltata. Teresa continuava a tormentarsi senza tregua. I successivi istanti divennero frenetici e Orlando, per farsi ascoltare dalla disperata moglie, dovette imbestialirsi più del maledetto demonio che gli stava trivellando le cervella. Il poveretto arrivò a passare il cellulare alla disperata donna solo, quando lei riuscì a sollevare il capo e a staccare le umide mani da quegli occhi già gonfi per le troppe lacrime. A gran fatica le fece intendere che, anziché disperarsi in quel dannato modo senza sapere neppure il perché, forse era meglio richiamare sua sorella Maddalena. A quel punto, dovendo per forza prepararsi al peggio, era necessario armarsi di coraggio e chiederle per benino che cosa era accaduto a casa e soprattutto a chi. Orlando da ultimo aveva dovuto imporglielo usando addirittura il metodo duro, che a lui male si addiceva; c’era stato bisogno, infatti, di molta pazienza, però alla fine Teresa si era convinta ad usare quel diabolico apparecchio. La donna era ostica e non smetteva di gemere tuttavia riuscì ad inviare la chiamata alla cognata; purtroppo, nonostante il grande sforzo, non ottenne nessuna risposta. Le mani le tremavano come non mai intanto che quel telefono, a malapena accostato all’orecchio destro, squillava a vuoto e ciò aveva mandato ancora di più in depressione il suo già gonfio cuore. Le due disperate anime non scorgevano più nulla attorno a loro frattanto la nera massa nuvolosa mandava giù tanta acqua da lasciar credere che si fossero aperte le cateratte del cielo. Orlando guidava quella vettura in maniera automatica, infatti, il poveretto non sapeva più dove stava andando e in che maniera stava governando la macchinetta che miracolosamente se ne restava ritta sull’ormai invisibile asfalto. L’acqua aveva trasformato la carreggiata in una straripante fiumana. A memoria d’uomo in quella zona, martoriata da tutt’altre avversità, non si era mai verificata una così violenta e prolungata tempesta. In trentadue anni, Orlando non aveva mai visto una così insistente precipitazione assimilabile forse solo al Diluvio Universale.
L’asfalto della strada era indistinguibile e per quella via, fattasi buia, impraticabile e rischiarata a giorno unicamente dalle numerose e terribili folgori, vi stava transitando solo quella verdognola Panda, guidata dal distrutto Orlando. I due poveretti stavano in silenzio e soltanto quando il vicino boato dei tuoni li scuoteva, nel tentativo di sostenersi l’una con l’altro, si dicevano qualche parola di conforto. Mancavano oramai meno di tre chilometri per scorgere le prime case del paese, quando Teresa aveva trovato finalmente un po’ di requie. Era impaurita e fissava il marito che, oltremodo impensierito per la pessima condizione atmosferica, governava la vetturetta tenendo lo sguardo dritto avanti a sé. Il pensiero era fisso all’allarmata chiamata ed entrambi stentavano a capire come mai avevano ricevuto quella telefonata così grave, seguita da cotanto e più angosciante silenzio. Non trovavano una logica spiegazione e perciò per quanto rischioso e lungo era stato sino a quel momento il tragitto avevano pensato solo a cose terribili. Impiegarono oltre trentacinque minuti per giungere in prossimità del paese e quando svoltarono, lasciandosi dietro le spalle la piana, riconobbero il costone che nascondeva parte della contrada. A quel punto Teresa, allungando lo sguardo in direzione della propria abitazione, poté scorgere in lontananza che mezza montagna non esisteva più. Istintivamente i suoi occhi caddero in basso nel tentativo di scorgere le case e dirigendoli verso la sua masseria, per ciò che percepì non ebbe la forza di dire parola, riuscì ad emettere soltanto un terrificante urlo di dolore. Il fabbricato era sparito. Non c’era più neppure una pietra al suo posto. Dall’alto in basso non vi era altro che detriti, fango, e alberi sradicati. La donna capì subito il disumano disastro che aveva colpito la sua famiglia, dopodiché svenne. Il povero disgraziato di Orlando a quel punto non seppe più che cosa fare, si sentiva mancare a sua volta e mentre il cuore gli suggeriva di soccorrere la moglie che giaceva esanime al suo fianco la mente gli imponeva di continuare, di portarsi subito nei pressi di ciò che restava della sua casa. Tra le lacrime che gli fuoriuscivano copiose e il terribile batticuore giunse ad un centinaio di metri dal luogo, lì la vettura fu bloccata dai conoscenti che impedendogli di proseguire gli imposero di scendere. Colei che si prese cura della disgraziata Teresa, che non dava segni di volersi riprendere, fu la vicina di casa, la vecchia Margherita. Costei, oltre ad essere sua amica, era quasi una sorella per quella poveretta della madre, rimasta sepolta dalla montagna di fango. Gli amici di Orlando, giunti compatti, si precipitarono a sorreggerlo e quando costui con un filo di voce riuscì a domandare «Sergio? E mia suocera?» Costoro gli risposero a gesti facendogli capire che forse erano rimasti là sotto. I compaesani più coraggiosi, nonostante l’imperversare della tempesta e del pericolo d’altre frane, li stavano cercando sperando di trarli in salvo. Sentito ciò Orlando fu colto dal vomito, spalancò gli occhi, e con la bianca schiuma che gli fuoriusciva dal lato sinistro della bocca, crollò privo di sensi…

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